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10° giorno
Per chi vuole, puja ore 6:00 nel nuovo monastero, per me colazione un attimo dopo e poi partenza per il villaggio di Mane da dove affronteremo l’ascensione al Mane Lake (circa 4 ore tra andata e ritorno). Percorsa un strada alquanto sterrata, passato un ponte nel bel mezzo di una scenografica cascata, le jeep ci lasciano e lì inzia la salita da circa 3500 m. Il sentiero presenta una prima parte in forte ascesa in mezzo ad una pietraia a strapiombo sulla valle, vista splendida e scusa per fermarsi a far foto, poi degrada e diventa una salita meno impegnativa. Peccato che il forte sole in breve si nasconda ed inizi a piovere, così quando arriviamo al lago (4100 m) la vista non è il massimo. Ma quassù il tempo cambia velocemente così prima di scendere ci godiamo la vista del lago con un accenno di cielo azzurro, mentre gli yak ne percorrono la parte settentrionale sotto dei picchi gemelli del Mane. Ritornati alle jeep, veloce spuntino per chi non lo aveva già fatto al lago poi rientriamo in valle scendendo sotto ai 3000 m per prendere infine una deviazione che sembra salire al cielo, dov’è posto il villaggio di Dhankar, incastonato tra spettacolari speroni di roccia, un posto fiabesco a tutti gli effetti. Lungo la salita carichiamo un lama del monastero e questa mossa ci permetterà di trovar posto nella guest house del monastero, un luogo splendido con camere che regalano una vista favolosa. Si può salire sul tetto della guesthouse per vedute mozzafiato sia sul paese che sull’intera valle, con la confluenze tra il fiume Spiti ed il Pin proprio a strapiombo sotto al villaggio. Un grigio che abbaglia fa da enorme letto dei fiumi, circa 1000 m sotto al luogo dove mi trovo, col sole che tramonta dietro al vecchio monastero e al forte in vetta agli speroni, sbizzarrirsi in foto è quasi un obbligo. Il rientro di capre e pecore dai pascoli montani avviene proprio al calar del sole, e questo regala un’ulteriore tocco di colore e particolarità al luogo. All’ingresso del nuovo monastero c’è una piccola porta sul lato sinistro, si accede un uno striminzito negozietto, dove trovare sia cibi, acqua, che carta igienica che, come al solito, non viene fornita. Proprio a fianco della mia camera mi ritrovo i soliti motociclisti israeliani con le Royal Enfield, e alla sera si divide la stessa sala per cenare, altri luoghi qui non ce ne sono. L’energia elettrica latita sovente, così meglio aver sempre con sé torcie per illuminare.
La spettacolare ambientazione del villaggio di Dhankar
11° giorno
Puja ore 7:00, questa volta mi vien detto con un grande numero di monaci partecipanti, poi colazione con una specie di gnocco fritto. Il cuoco ci dice che è un piatto particolare per i giorni di festa che servono assieme ad una zuppa di ceci (continuo a preferirci il salame come accompagnamento, ma va bene lo stesso), oggi è ferragosto. Visita al monastero (offerta libera, si entra senza scarpe ma non scalzi) con splendido cortile interno, qui sono particolarmente gentili, lasciando salire sul tetto da cui si gode una grande vista e permettendo ai soli uomini di entrare in una sala dove un lama suona un certo numero di tamburi avvolto dai fumi di incenso e numerose altre erbe. Da qui salita al forte che si trova al culmine della montagna ma che è ora lasciato andare, serve da stalla per gli animali dei pastori. Si può salire sul tetto, ma la vista non vale quella del monastero. Da qui con una passeggiata di circa 2 ore si va verso il villaggio di Lallung, nella valle del Lingti (la più sperduta e disabitata delle tre di cui conta lo Spiti) dove si visita il monastero e dove il lama locale ci prende in buona e vuole a tutti i costi offrirci il chay in casa sua. In una seconda struttura si trova un piccolo tempietto dedicato al dio Varochana, con le sue quattro teste che prendono l’intera struttura; per vederle però occorre avere con sé una torcia, lo spazio è angusto e non illuminato. Dall’altopiano di Dhankar scendiamo a valle lungo il corso dello Spiti e prima di entrare nella valle del Pin una jeep accusa un guasto allo sterzo e si deve fermare. Accatastati alla bell'e meglio arriviamo a Kungri (3600 m) avvolti nelle nebbie e, fortunatamente, dopo che una forte pioggia si è abbattuta sulla zona. In effetti questa valle è completamente differente da quella dello Spiti, tutta verde e rigogliosa, sembra incredibile ma nel giro di 10 km le condizioni sono cambiate e di tanto. Troviamo alloggio nella guest house del monastero Ugyen Sanag Cholin, unico posto per pernottare, stanze da quattro (ma solo due posti letto, occorre avere materassino e sacco a pelo) con bagni non proprio in sintonia con l’igiene, ma questo c’è e basta e avanza. La vista del modesto paese pare superflua, invece si incontrano tante persone alle prese coi loro lavori (interessante l’essicazione dello sterco degli animali su qualsiasi porzione di muro a disposizione), un bel contatto con genti slegate dal turismo, insomma quello che pareva solo uno sgranchire le gambe si rivela una visita interessante. La vista del monastero pare quella di un casermone in stile periferia di Mosca, ed anche qua occorre entrare tra le abitazioni dei monaci per immergersi in una situazione autentica ed interessante. Una grande stanza della guest house è adibita a negozio, si trovano i soliti generi alimentari e ci viene concesso lo spazio per cenare, poi alle 22:00 si spengono le luci e si chiudono le porte, quindi l’unica cosa da fare è dormire e non far troppi rumori.
Un monaco a Dhankar
12° giorno
Puja ore 6:00, ma ormai ho fatto tendenza e nessuno si avventura più alle preghiere mattutine, a colazione non c’è più il gnocco fritto ma questa mattina abbondano le uova. Visita accurata del paese, con la guida che ci permette di addentrarci fra case e cortili, poi si parte entrando ancora di più nella valle del Pin fino a Sagram, zona che i locali chiamano Mud Valley. Ci avventuriamo in giro per il villaggio, nei campi è pieno di gente che raccoglie piselli e vedendoci ci vogliono tutti offrire parte del loro lavoro giornaliero (a dimostrazione che questa è un’India ben differente dallo standard che si ha). Così non si può rinunciare ad un assaggio e qualche scambio di parole perché, anche se abitano quassù lontano da tutto, alcuni un po’ di inglese lo masticano. Ora è tempo per andare a Kaza, il capoluogo della regione , paese diviso in due parti dall’omonimo fiume Spiti. Arrivando dalla nostra parte si incontra prima la parte vecchia con all’ingresso la stazione degli autobus, ma la cosa fondamentale è trovar subito del carburante, così ci rechiamo nella parte nuova dove c’è un vero e proprio distributore che però funziona solo a pompaggio manuale e due mezzi in fila fanno già una coda chilometrica. Qui ritroviamo funzionante anche la jeep che ci aveva abbandonato lungo il percorso.
Portale d'ingresso a Kaza
Espletata questa fondamentale operazione, troviamo da dormire in una guest house nei paraggi, che offre camere basiche, ma mi spedisce in una dependance distante 50 metri e mi trovo in un posto splendido, camera con salotto e grande bagno dotato di carta igienica e doccia funzionante (già, in tutti i posti precedenti, anche se la doccia era presente la pressione dell’acqua non ne permetteva il funzionamento ed occorreva riempire secchi e tirarsi un po’ d’acqua addosso, non troppo che non si può sprecare). Veloce pranzo e giro rapido del paese per prendere contatto con quanto si potrà poi trovare, per passare da una parte all’altra si può seguire la strada ma il percorso diventa molto lungo. Si può tagliare per il fiume che è completamente secco, per trovare i posti dove scendere e salire meglio seguire un abitante del posto, evitate così di sprecare tanto tempo per nulla, soprattutto nella parte vecchia di Kaza. Si parte per visitare il villaggio di Langza (4.200 m), che si raggiunge inerpicandosi sulla parte destra delle montagne in direzione Cina. Alcuni punti del percorso sono favolosi, si vedono i sentieri che salgono nel mezzo di uno stretto canyon, ed in un punto stanno perfino asfaltando, non si capisce bene coma mai lì in quel preciso punto e non in corrispondenza dei paesi. Ovviamente si svolge tutto a mano, dal bruciare il bitume, a spandere il catrame, a pulirlo con uno spazzolino, solo la pressatura avviene con un mezzo meccanico. Usciti da questo canyon si arriva nella vallata che ospista Langza, posto fantastico, dominato dal Shilla, di poco sopra ai 7000 m, anche se la nostra guida, scalatore provetto, ne contesta il livello ponendolo al di sotto di tale limite (ma le carte dicono 7.026). Posto stupendo da qualsiasi lato ci si ponga, perfetto luogo per riappacificarsi col mondo e con sé stessi, raggiungiamo il punto più alto dove si trova un monastero, al fianco del quale una enorme massa di sassi riportati uno ad uno come preghiere oppure dai viandanti che ne percorrono a piedi il cammino, il fascino è sempre unico. Poco sotto si erge grandiosa verso il cielo blu una statua del Buddha, avvolta dalla tante preghiere tibetane. Un effetto cromatico splendido, poi sarà anche un qualcosa di spiritualissimo e profondamente religioso, ma fortunatamente non soffro di quella malattia e mi godo in assoluta semplicità la stupenda visione. È duro abbandonare questo luogo, ci incoraggia un venticello che si alza e che in un attimo abbassa la temperatura, così rientriamo a Kaza dove trovo nella piazzetta del centro un internet point (non particolarmente veloce, ma qui è già grasso che cola trovarlo e non dover nemmeno far grossa fila). Questa sera ci permettiamo il lusso di regalarci un ristorante per cena, la scelta cade sul Dragon, specializzato in Israeli food e speggitti. Volo dentro a piatti più cinesi che indiani, guadagnandoci un palato non bruciato dalle spezie ma gusti non al massimo. Percorsi 85 km, alcuni di una bellezza superba.
La statua del Buddha a Langza
continua...
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Luca