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In chiusura di questa serie di articoli sui passaporti, vi racconto una disavventura capitatami durante uno dei tanti attraversamenti di frontiere. Nel 2018 volli provare ad entrare in Abkhazia passando dal posto di confine nei pressi di Zugdidi, in Georgia, lo stato di cui faceva parte prima del breve ma sanguinoso conflitto – con feroci casi di pulizia etnica contro i Georgiani che vi abitavano ormai da oltre un secolo - che nel 1991 portò lo staterello spalleggiato dalle truppe russe a dichiararsi indipendente. La Georgia non ha mai riconosciuto, come è appena ovvio, l'indipendenza dell'Abkhazia ma sul web avevo letto di uno che era riuscito ad attraversare da quella frontiera. Volli provarci anch'io.
(foto pixabay)
La cosa più complicata sembrava essere legata al fatto che l'Abkhazia, da tradizione sovietica, richiede un visto ma, non essendo riconosciuta da quasi nessun paese, non ha ambasciate all'estero in cui richiederlo. In realtà il problema si è rivelato essere un altro: nonostante avessi ottenuto una lettera d'invito dal Ministero degli Esteri del paesucolo, alla frontiera georgiana non volevano lasciarmi passare, probabilmente per il loro rifiuto di accettare che uno straniero entrasse liberamente in quel territorio che loro consideravano usurpato. Dissi che sapevo di aver diritto di passare, che avendo la lettera d'invito la cosa era nota anche dall'altra parte del confine e avevo un driver che mi aspettava e che avrei atteso fintanto che non mi avrebbero lasciato passare, sapendo inoltre dell'esistenza di precedenti in tal senso. Il tutto mentre decine se non centinaia di Georgiani, molti dei quali nel frattempo erano rientrati ad abitare in Abkhazia a Gali, un villaggio a 12 km chilometri oltre il confine, passavano indisturbati, senza nemmeno mostrare documenti. Dopo alcune ore di ingiustificata attesa, mi finalmente mi segnalarono che potevo passare e quindi mi incamminai a piedi sulla strada asfaltata che portava al ponte che superava il fiume Patara Enguri che faceva da confine naturale. Dopo circa un chilometro a piedi, giunsi al confine bbkhazo, protetto da filo spinato e militari russi armati fino ai denti. Risposi alle poche domande che mi fecero e potei proseguire.
(foto pixabay)
Qualche giorno più tardi rientrai in Georgia dalla stessa frontiera, non perché volessi complicarmi l'esistenza ma solo perché non potevo farlo da posti di confine diversi da quello dal quale ero uscito. Mentre percorrevo a piedi lo stesso tratto di strada che avevo fatto all'entrata, una coppia in abiti civili che dichiarò di essere poliziotti di frontiera in borghese mi chiese di aprire il trolley lì, praticamente in mezzo al boschetto che si trovava tra il ponte e il posto di frontiera. Dopo un fugace controllo, mi lasciarono passare. Giunto nei pressi dell'edificio dei controllori dove all'andata avevo atteso per ore, una funzionaria con un giubbotto antiproiettile con la scritta EU rimase a bocca aperta nel vedere me, un occidentale, entrare in Georgia in quel modo. Mi chiese come avessi fatto, dicendo che in diversi mesi che era lì di servizio (ma non all'andata, quando forse la sua presenza mi avrebbe semplificato di molto le cose) ero il primo “straniero” che vedeva passare da quel varco. Proseguii senza che i rigidi controllori dell'andata nemmeno si sporgessero dalle finestre dei loro uffici. A proposito del visto abkhazo: me lo rilasciarono "sulla fiducia", senza che mi presentassi a ritirarlo al Ministero, infatti lo diedero direttamente alla ragazza della famiglia che mi ospitava. A volte si fa più fatica coi documenti in regola che senza, a riprova che l'elemento umano può essere decisivo come e più di un passaporto.
Vita, morte e miracoli del passaporto - I
Vita, morte e miracoli del passaporto - II
Vita, morte e miracoli del passaporto - III
ESPERTO: Viaggi etnografici e alternativi
Roberto