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7° giorno
Colazione in camera al salir del sole (presto, molto presto), poi in jeep raggiungiamo il visitor center dell’antica città di Dedan (o Dadan, 1.000 a.c.), imparando che non si può accedere in autonomia. Così ritorniamo in città presso il Winter Park, dove un pullman porta i visitatori già muniti di biglietto all’ingresso. Burocrazia che si pensa inutile, forse in periodo di grande affollamento potrà avere un senso, al momento non pare. Sul pullman (da 50 posti) oltre a noi nessuno, il primo giorno dell’anno ai più piacerà dormire tra le fiabesche montagne che attorniano Al Ula. In 5 minuti siamo di nuovo all’ingresso, ora si può entrare, prima di spostarci nella parte storica ci vengono offerti il solito caffè arabo e bottigliette d’acqua, si possono recuperare info sul sito di Dedan, che da sempre controllava le carovane sulla via dell’incenso. Terminato l’apprendimento sulla storia dell’antichissimo insediamento è tempo di vederlo di persona, con la consegna dei binocoli, perché alle tombe scavate sotto l’imponente montagna al di là del palmeto non si accede. E così, la celebre tomba decorata con le sculture dei leoni la vediamo da lontano, sfoggio di teleobiettivi e binocoli, di mattina però l’area è in ombra, la vista ne risente e non poco. Qui non c’è altro da visitare, in pullman ci trasferiscono alla città vera e propria di Denan Nord, Mehlab Al-Naqa, ancora in larga parte da scavare. L’affioramento più importante è il bacino di pietra, chiamato anche Bacino del Cammello, perché narra la leggenda che il dromedario femmina di Saleh riempisse di latte tale conca. I resti dell’antichissima città al momento paiono come sassi e rocce, poco rimane intatto, lo scenario e l’effetto che colpisce maggiormente, col sole che pian piano inizia a dar luce alle rovine. Dal visitor center che s’incontra al termine di questa visita, ancora in pullman andiamo nel versante opposto, più a nord est, Jabel Ihkma, facente sempre parte di Dadan ma luogo completamente diverso. Anche lì attesa presso il visitor center, con pure spettacolo introduttivo di un artista/guida che narra la storia del luogo, conosciuto come biblioteca a cielo aperto di Dadan. A piedi raggiungiamo un canyon ben protetto tra le montagne dove ogni pietra o roccia porta iscrizioni, alcune veramente notevoli, vere e proprie opere d’arte. Iscrizioni risalenti a oltre 4.000 anni a.C. paiono tanto vecchie, ma più avanti ce ne saranno alcune che faranno passare queste come giovani. Il luogo merita, così come le iscrizioni, la guida è molto informata (ovviamente queste visite sono fattibili solo con guida e altra collaboratrice al seguito che funge più da controllore che da guida, prenotando in largo anticipo) e recuperiamo tanti dati che completano la semplice vista, per noi altrimenti di difficile comprensione. Terminata questa visita, il pullman ci riporta al Winter Park, dove tentiamo di prendere un biglietto per vedere la Maraya Concert Hall, anche solo dall’esterno. Teatro celebre per essere una costruzione tutta di specchi nel mezzo del deserto, purtroppo accessibile solo in occasioni di eventi, al momento non previsti. Qui non è che si possa trattare un ingresso in via amichevole, non c’è concesso, proviamo comunque ad andare sul luogo, ma una sbarra la chiude e guardie armate ci invitano a tornare sui nostri passi, la Maraya CH rimarrà nella lista dei luoghi da recuperare, infinita. Decidiamo così di tornare all’ingresso di Dedan e rientrare ad Al Ula seguendo il sentiero che taglia la vecchia Old Town, quella fuori dal centro storico e non ancora ristrutturata. Però prima, son già passate le 10 di mattina, la vista sulle tombe di Dedan, compresa quella dei leoni, è baciata dal sole e regala una vista completamente diversa, splendida anche se sempre da lontano. Il percorso taglia la città vecchia attraverso un grande palmeto, le vecchie costruzioni di fango sono in larga parte fatiscenti ma conservano un fascino non indifferente, a loro modo forse pure superiore a quelle che vedremo dopo già sistemate. Il sentiero, circa 3 km, è pianeggiante e in larga parte all’ombra, ottimo per staccare dai tanti spostamenti in jeep, non incontriamo nessuno, impossibile perdersi, si sbuca proprio di fronte alla fortezza di Musa Ibn Nusayr, a cui saliremo in seguito durante la visita alla città vecchia. Ora tempo per un hotdog e caffè, prima di entrare in Ad-Deerah, ovvero la città vecchia. La ristrutturazione della via centrale la fa sembrare un po’ falsa, ma sopportabile, l’accesso al complesso vero e proprio avviene dal solito visitor center con immancabile caffè arabo e acqua. Costruita come una vera e propria fortificazione all’interno di una città di suo fortificata, le case di fango sono divise da piccole e strette vie dove si passa solo a piedi, il sole non penetra mai, si risiedeva qua d’estate, mentre d’inverno ci si spostava nella parte al di là del fiume visitata in mattinata. Solo una piccola parte al momento è visitabile, dalla via centrale alla meridiana di Tantora, la guida (ovviamente una donna saudita) c’informa che i lavori di restauro apriranno in futuro a b&b all’interno della città vecchia, in larga parte tutto originale tranne le porte che chiudono le abitazioni, volutamente serrate per evitare che s’instaurino persone. Disabitata per secoli, rifugio di carovanieri, la vista migliore la si coglie nella sua interezza solo salendo il forte nel mezzo della città, da lì la vista spazia a 360° su Al Ula e montagne. La città vecchia, incastrata una casa nell’altra pare un gigantesco domino, spettacolo affascinante, forse più da qui che attraversando la parte restaurata, se dovessi indicarvi cosa visitare direi però che la parte orientale al di là del fiume sia molto più meritevole, però l’accesso al forte è contemplato solo con la visita a pagamento, anche questa da prenotare in anticipo, qui tutto quello fatto al momento pare complicato da realizzare.
La Rainbow Rock dell'area di Al-Ula
Ora è tempo per raggiungere in jeep uno dei posti che più riempie l’immaginario collettivo dell’Arabia Saudita e dei suoi deserti, l’arco Rainbow Rock, circa 60 km a nord per un’ora di trasferimento, solo gli ultimi due su sentiero sabbioso. La vista emoziona al primo colpo, enorme, con dietro una gigantesca roccia che pare lì apposta per fare da scenografia, lasciamo le jeep che paiono puntini nel nulla per rimirarlo in ogni dettaglio. Dal lato destro si può salire sulla roccia alle spalle per godere della vista dell’arco verso il deserto, da qualsiasi parte lo si veda, uno spettacolo della natura fantastico. Non c’è nessuno, attendiamo con calma i primi colori del tramonto, ma poi le guide ci mostrano altre rocce dalle forme impensabili, forse era però meglio vedere prima queste, dopo il Rainbow Rock paiono meno impressionanti. È giù buio quando riprendiamo la statale 375 per tornare in appartamento, doccia e via alla ricerca di un posto dove rifocillarsi. Visti i lussi della sera prima, oggi preferiamo qualcosa di locale, imbattendoci in un ristorante non lontano, ora chiuso per l’ora della preghiera. I pakistani che lo gestiscono si fanno in quattro per noi, intenderci non è facile, ma come al solito accesso alla cucina, tra foto e gesti ne usciamo con una cena coi fiocchi, pure qui varie portate offerte e anche gli yogurt presenti nel loro freezer. Ben rifocillati e dopo ringraziamenti a non finire, un salto al supermarket Mass di fronte agli appartamenti per prodotti da colazione. Sorpresa pure qua, in fila il cassiere batte il tutto e non ci fa pagare, un saudita che ci segue, incuriosito dalla nostra presenza, paga per noi e non vuole sentire ragione, solo sapere da dove arriviamo e come mai siamo in giro da queste parti. Percorsi in jeep 160 km, mancano quelli coi pullman.
8° giorno
Colazione all’alba in appartamento con quanto gentilmente offerto la sera precedente dal saudita al supermercato, poi in jeep al Winter Park, tutte le visite si dipanano da quel luogo. Oggi si va alla metà più celebre (per i non mussulmani) dell’Arabia Saudita, ovvero Madain Saleh come riportano le guide, oppure Hegra com’è chiamata qui, o ancora la Petra d’Arabia come comunemente si dice in giro per il mondo. In bus, e oggi è decisamente più affollato del giorno precedente, si parte un’ora prima dell’ingresso che va acquistato con largo anticipo ( 30’ per percorrere i circa 30km, 2 ore la visita vera e propria) e una volta entrati nel sito archeologico tappa al visitor center per i soliti convenevoli. Hegra è un’antica città nabatea, la punta sud del grande regno, sviluppata nel 1° secolo a.C., crocevia imprescindibile di tutte le carovane che attraversavano la penisola araba, per l’incenso, le spezie e la mirra, ma pure per altri commerci.
Hegra (Madain Saleh), area di al-Khuraymat
La visita è possibile solo in comitiva organizzata, quattro tappe prefissate raggiungibili con un pullman dal quale si sale e scende solo nei luoghi scelti dai gestori, che al momento della mia visita non comprendono l’antica ferrovia dell’Hejaz. Il primo stop è alla tomba più imponente e celebre, Qasr Farid, che si raggiunge a piedi (circa 200 metri) dal parcheggio, sempre con guida e addetta alla sicurezza, mi siede accanto e posso avere qualche info in più sulla libertà raggiunta nel poter lavorare, e di conseguenza uscire in autonomia. Qasr Farid fu costruita intagliando un’enorme roccia, è alta 27 metri, per ottenere una facciata il più imponente possibile hanno dovuto scavare mezza roccia così da realizzare la facciata più impressionante che ci sia. Purtroppo di mattina è in ombra, per quanto sia una meraviglia, i colori spenti non le rendono la meraviglia che in realtà è. La tomba non è terminata, meno elaborata di quelle a Petra, da subito emerge una grande differenza tra le due città, quella giordana ha tombe sicuramente più belle e lavorate, quella in Arabia è collocata in uno scenario inimmaginabile, sulle rocce del deserto si è creata una città. Non si possono fare classifiche di fronte a tale bellezza, se non visitarle entrambe. Ci si stacca a fatica da questo luogo, indicativamente le tappe sono sui 20/30’, riprendiamo il bus per destinazione Qasr al Bint, un’unica gigantesca roccia che ha tombe su tutti i lati, arrivando dalla strada, illuminate dal sole quelle di fronte a noi fanno impressione. Anche qui non tutte terminate (una sarebbe stata la più grande di Hegra), girando sul lato sinistro possiamo entrare in una di queste, l’unica in cui l’accesso sia consentito. Sul retro, all’ombra, tutta la roccia è piena di tombe, più minute ma non per questo di minore bellezza. Qui il tempo di visita si allunga sui 30’, l’impatto visivo e il fatto di poter muovere qualche passo in più ha il suo perché. Tappa seguente molto prossima, Al Diwan, dove non si trovano enormi tombe scavate ma l’unica presenza non funeraria, sala comune con panche (tutto ottenuto scavando dentro la montagna) che si apre verso una falesia che termina in uno strettissimo canyon dai colori intensi. Percorrendolo si arriva al termine, dove si notano formazioni rocciose stranissime, ma ci viene proibito di avanzare. Tante piccoli scavi che servivano per riporre idoli del tempo, la vista da qui, la parte più alta di Hegra, spazia su tutto il sito, s’incontrano a distanza numerose tombe, anche di dimensioni importanti, che purtroppo non potremo vedere ne avvicinare. Ultima tappa, forse la più esaltante nella luce della mattina, presso l’area al-Khuraymat per il complesso di Jebel al-Ahmar, un grande sperone decorato su più lati, in perfetta luce di mattina. Di fronte una roccia che pare raffigurare il profilo di un volto umano, e in lontananza si rimira Qasr Farid, non si possono avvicinare le tombe ma ci si può muovere da un lato all’altro. Passate due ore si fa ritorno, la visita è terminata con sommo dispiacere, sarebbe meraviglioso perdersi camminando a piedi per questo deserto infarcito di rocce scavate nel più incredibile dei modi, ma è già un successo accedervi così. Mestamente riprendiamo il pullman per tornare al Winter Park, saliti sulle jeep si parte per un lungo trasferimento verso Hail, lungo la statale 70, asfalto nel deserto e nulla più. Dopo 260 km, deviazione a destra fuori dalla strada verso una grande roccia sotto la quale fare tappo per mangiarci qualcosa preso in precedenza, e sopra per trovare deserto in ogni dove. Saliti in cima spira un vento incredibile, del quale non v’è traccia sotto alla roccia, con nuvole in viaggio degne del miglior Kaurismaki, e qualche incisione rupestre, immancabili. Poco prima di giungere a destinazione, sosta per preghiera degli autisti in un grande autogrill dove di aperto c’è solo un café, poi entriamo ad Hail andando direttamente agli appartamenti prenotati. Giusto il tempo di registrarci e lasciare gli zaini, con le jeep ci facciamo portare al bazar del centro, dove ci sono bancarelle di ogni genere, soprattutto frutta e verdura. Tutti ci guardano come fossimo extraterrestri, tanti fotografano o filmano, cerchiamo di trovare dei datteri, pare che la qualità dell’area sia la migliore ma inaspettatamente non si trova nulla. Poi, chiedendo, un po’ con qualche parola d’inglese, molto a gesti, c’informano del fatto che si sia una piazza interamente dedicata a quel frutto, ed infatti non distante così è, boutique del dattero in ogni dove a far da cornice a un’area molto estesa. Per gli appassionati qui c’è da far notte, nel frattempo alcune persone ci chiedono se siamo qui per la Dakar (di passaggio in città proprio in questi giorni), una di noi viene pure scambiata per una motociclista, incredula la ragazza quando si sente dire che così non è, ma una foto assieme la vuole comunque. Terminata la visita al bazar è tempo di cena, le info recuperate sul posto ci consigliano un ristorante nei paraggi, quando arriviamo pare un museo tradizionale. Nell’attesa che termini la preghiera, solita offerta di caffè tradizionale, ma il tempo è impiegato pure per rimirarsi la storia di Hail e del ristorante, la vista merita assolutamente. Saletta riservata, si cena a terra tra tappeti preziosi e dipinti pregevoli che riempiono le pareti, oltre a manufatti che sarebbero da riporre nello zaino (ma non si fa…), ma la cena ripaga, pure oggi abbondiamo nelle ordinazioni devo dire di grande qualità. Il rientro è in taxi, fermati lungo la via e finalmente tempo per una tonificante doccia (fondamentale aver attivato l’interruttore del boiler in precedenza, altrimenti acqua fredda). Al termine di una giornata corposa, percorsi 467 km in jeep, ai quali vanno aggiunti i circa 65 km in bus.
continua...
BLOGGER
Luca