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13° giorno
Terminata colazione, sistemata la tenda, cerchiamo il ragazzino che gestisce il camp per pagare, ricevere il resto diventa un’impresa, dobbiamo ritornare in paese per cambiare i soldi al market, poi accompagniamo il ragazzino al piccolo villaggio dove risiede già lungo la via per Purros sulla D3707. Preso al bivio la via sulla destra, dopo poco entriamo in un percorso in pessime condizioni, la velocità cala di molto, ci sono da oltrepassare montagne e fiumi, nel letto di questi il 4x4 è fondamentale come lo è l’assale alto, lungo questi 100 km più che la trazione integrale fondamentale è proprio l’alta luce da terra. Entriamo a tutti gli effetti nel Kaokoland e la sua famigerata fama ce lo conferma immediatamente, per percorre i poco più di 100 km impieghiamo poco meno di 4 ore. Purros è un villaggio Himba vero e proprio, con presenza di Herero (le donne si contraddistinguono dagli abiti stile Prussia anni 1800 che in pieno deserto sortiscono un certo effetto), lontano da percorsi turistici e con mete a seguire solo su percorsi altamente corrugati, un insieme di baracche senza un centro vero e proprio, con un unico negozio che fa da centro di qualsiasi attività, rivendita di birra, tavolini per giocare e conversare e tavolo da biliardo, per accederci capiremo in seguito che occorre entrarci con una guida del luogo. Poco oltre sorge lo splendido Purros Camp Site, raggiungibile attraversando il letto del fiume (4x4 obbligatorio), sul bordo di questo che funge anche da passaggio per gli elefanti. Oltre a noi incontriamo solo un altro mezzo di esploratori, ci sistemiamo sotto a un albero gigantesco che fa da casa per upupe dalle creste punk, il favoloso bagno è sito all’interno di un gruppo di alberi, di fatto all’aperto ma dotato di ogni confort, anche qui per le docce calde occorre farne richiesta agli inservienti ed attendere circa 30’. Ma a questo penseremo in seguito, alla reception si può contattare una guida locale che porta in visita alle particolarità del posto, non è dotato di mezzo quindi occorre caricarlo sul proprio. Proseguiamo lungo la D3707 che non ha la minima segnalazione, la guida sa dove portarci, dopo circa 7 km facciamo tappa presso un insediamento Himba vero e proprio. Popolazione nomade che vive di pastorizia, risiedono in questo campo estivo che poi lasceranno per ritrovarlo in seguito, il campo è piccolo e abitato da 12 persone più i bambini, le case sono formate da rami sui quali viene sistemato lo sterco di mucca che coibenta, lasciando il caldo fuori dalle piccole costruzioni e viceversa in inverno. Oggi è una giornata particolare, la vigilia di Natale, gli uomini non sono presenti perché in paese a fare acquisti per le feste a venire, sono presenti i bambini e le caratteristiche donne, celebri perché ancora oggi girano a seno scoperto e si coprono i capelli con ocra e fango. In testa alle donne sposate un piccolo copricapo di pelle di agnello, pelli usate anche per le succinte gonne. Gli Himba non si lavano, una donna ci mostra però come affrontano la questione igiene, battono erbe con cenere e ocra talmente forte che si sprigiona un vapore tale da far sudare ed espellere la sporcizia, oltre a profumare. Immancabile un po’ di oggettistica a prezzi ridicoli, comprando qualche oggetto ed entrando con la guida non ci sono restrizioni fotografiche, la guida è inoltre fondamentale per poter interloquire con loro perché non parlano inglese, rifiutando ogni tipo di modernità, istruzione statale compresa. Rientriamo verso Purros e lungo il letto del fiume Gomadommi andiamo alla ricerca di elefanti. La guida trova alcune tracce e nel giro di breve ne avvista due, sono i primi elefanti allo stato brado che vedo in vita mia, le dimensioni non sono tranquillizzanti, nonostante questo ci avviciniamo lentamente ma senza paura fino ad ascoltare il rumore dei rami che si spezzano in bocca, un elefante mangia mediamente 300 kg di tronchi ed erba al giorno. Li seguiamo nel loro peregrinare lungo il fiume per cibarsi, felici di questo incontro ravvicinato e avvisati che potrebbero attraversare il nostro campeggio (nessun problema, ma ci dicono di riporre il cibo all’interno del pick-up) rientriamo al villaggio di Purros dove la guida deve far spesa per il veglione di Natale, ovvero comprare birra. Ne approfittiamo per scambiarci foto con un gruppo di donne Herero di tutto punto vestite per l’occasione. Noi fotografiamo loro mentre loro fotografano noi, anche se sulle prime erano ostili, poi una parola della guida e tutto si è chiarito, finendo a scattarci foto assieme, mentre gli anziani del posto avrebbero voluto porci svariate domande ma la lingua è un problema se la guida è in altre faccende affaccendata, finiamo per indicare i luoghi da dove veniamo, non hanno proprio una precisa idea di dove sia sita l’Italia, però quando diciamo vicino alla Germania capiscono. La colonizzazione tedesca ha lasciato un attaccamento particolarmente sentito, sarà che a seguire i sudafricani (intesi anche come inglesi) non hanno lasciato ricordi positivi. Una nota breve su questo, i tedeschi arrivarono poco prima della metà del XIX secolo, lasciarono queste terre allo scoppiare della prima guerra mondiale, 1914, in seguito al trattato di Versailles del 1919 la gestione fu affidata al Sud Africa fino all’indipendenza del 1992. Quando la guida ha terminato compere, chiacchiere e saluti, rientriamo al camp giusto in tempo per una doccia caldissima tra gli alberi, poi lentamente ci prepariamo al cenone di Natale, spaghetti al sugo e l’immancabile tonno, con parmigiano-reggiano e il salame che al check point veterinario non ci hanno sequestrato. Dopo il forte caldo del giorno, la temperatura al calare del sole si abbassa notevolmente anche se in tenda non ci sono problemi di freddo. Da rammentare che da Sesfontein a qui non c’è possibilità di far rifornimento, qualche cartello al villaggio di persone che potrebbero avere carburante spunta ma non le abbiamo verificate di persona. Per i più arditi che intendano andare verso le Epupa Falls da qui (mettere in conto almeno 2 giorni) occorre avere al seguito il carburante necessario non solo fino alle cascate ma anche per proseguire a Opuwo o Ruacana. Percorsi 137 km, tutti su sterrato in pessime condizioni.
Villaggio Himba - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
14° giorno
Colazione da campo e poi riprendiamo la via del rientro verso Sesfontein, stessa strada del giorno precedente, pessima ma intervallata dalla vista di alcuni animali, oltre a springboks, struzzi e zebre di montagna ci imbattiamo nelle prime giraffe. In poco meno di 4 ore arriviamo, il benzinaio è aperto, accetta solo contanti che ormai a noi scarseggiano e riforniamo con tutto quello che ci resta in tasca, da qui prendiamo la D3706 fino al bivio per Kamanjab non segnalato. C’è solo l’indicazione per il camp Khowarib, appena svoltato la strada praticamente termina, un sentiero accidentato s’inerpica tra le montagne, al camp chiedo info e la gestrice mi tranquillizza, è la via giusta, necessario un robusto 4x4 perché la via è descritta molto polverosa. In realtà una via vera e proprio non c’è, infatti la mappa della InfoMap riporta un tracciato ma nemmeno ci mette una numerazione, dopo buche dove pare di capovolgerci, dove la sabbia e la polvere ci invadono e realmente non riusciamo a vedere nulla, l’unica alternativa è procedere sul letto del fiume e seguire le tracce di chi ci ha preceduto. Percorriamo numerosi km in prima ridotta, decidiamo più volte di fermarci a far rifiatare il motore, non ci sono indicazioni di sorta, il navigatore non sa che dire, la mappa indica una direzione che la bussola conferma e mai come ora la bussola è fondamentale, soprattutto nelle tante confluenze del fiume che percorriamo. Quando incontriamo tracce che risalgono il letto del fiume proviamo a trovare una via vera e propria ma varie volte dobbiamo desistere e riprendere il fiume, iniziamo a preoccuparci seriamente e la prendiamo scherzando per non andare in paranoia nel mezzo del nulla, consci che possiamo tranquillamente sostenere una notte all’addiaccio, abbiamo tenda, generi alimentari e benzina a sufficienza. All’ennesima risalita dal fiume, una tenue traccia di gomme la scorgiamo, son passate ore da quando abbiamo imboccato il fiume, la bussola conferma che la direzione potrebbe essere corretta per andare verso il Control Point di Kamdescha, il navigatore è ancora perso nel nulla ma verso est lontano circa 30 km una strada la vede, questo ci rende carichi nel continuare l’esplorazione. Il paesaggio sarebbe anche molto bello ma non possiamo dedicargli troppo tempo. Il sentiero preso a sentimento della vaga indicazione della bussola arriva a un deposito di acqua, non può essere che sia qui casualmente, lo aggiriamo e troviamo tracce più profonde, le seguiamo e dopo circa 8 km c’è una rete metallica che taglia i campi, altro non può essere che la red line, seguita per poco ci conduce al Kamdesch Vet Control Point dove troviamo traccia umana negli inservienti che festeggiamo calorosamente. La nostra assurda deviazione ha trovato una via, ora la P2232 ci porterà fuori di qui, è in pessime condizioni ma sappiamo dove andare, anche se presi dall’entusiasmo entriamo nel campo di gente del luogo che gentilmente ci indicano il percorso. Quando svoltiamo sulla C35 addirittura asfaltata facciamo festa, talmente festa che ci fermiamo un attimo per smaltire la tensione incamerata, Kamanjab dista 50 km che percorriamo in meno di un’ora. Quando arriviamo proviamo a cercare un ATM ma ci informano che in paese ci sono ma all’interno dei supermarket ora chiusi, pensiamo che dovremo metter mano alle scorte di dollari o euro ma troviamo lo splendido Oppi-Koppo Camp&Lodge, dove si può pagare con carta di credito. La fortuna effettivamente aiuta gli audaci, prendiamo posto in una piazzola, gli unici a campeggiare, e ci prepariamo la cena in una serata ventosa, ma visti i disagi del giorno questo è l’ultimo dei problemi. Percorsi 289 km, la maggior parte lungo il letto di un fiume, il consumo di benzina quasi a livelli da F1.
Donna Herero col tipico costume di epoca vittoriana
15° giorno
Al termine di una notte se non fredda fresca, colazione poi via in paese a cercare un ATM che non troveremo, uno è chiuso e l’altro distribuisce contante solo ai correntisti. Ma al market dove facciamo spesa prima di entrare all’Etosha per evitare extracosti un cliente mi avverte che posso pagare con carta indicando quanto voglio, così pago la spesa e ricevo in contanti la differenza fino ai 2.000 $ richiesti senza nessun problema e nemmeno la commissione sul prelievo, soluzione ideale. A fianco del market sorge pure, più che un distributore, una piccola pompa di benzina dove si paga incredibilmente con carta, alla città di Kamanjab dobbiamo stare particolarmente simpatici evidentemente, o forse le fatiche e le incertezze del giorno precedente vengono ripagate. Da qui ci sarebbero strade (tutte di categoria D poco indicate e con più bivi nel nulla) che tagliano per arrivare all’ingresso del parco ma è consigliato da tutti seguire la C40 fino a Outjo e da lì risalire per la C38 entrando nell’Etosha dall’Anderson Gate. Alla porta un inserviente ci fa proseguire, in realtà la richiesta del permesso sarebbe da compilare qui, prima di arrivare all’Okaukujo Rest Camp iniziamo già a scorgere animali in quantità, zebre su tutti. Il camp è una specie di piccola cittadella dove si paga il permesso e ci si registra per la sistemazione scelta, nel nostro caso ovviamente campeggio prenotato precauzionalmente e fortunatamente con largo anticipo visto che oggi è tutto esaurito. Per visitare il grande parco non è obbligatorio pernottare all’interno ma è un enorme vantaggio per muoversi visti gli orari e per non buttare larga parte del tempo in trasferimenti. Al solito lasciati nella piazzola tavolo e sedie (ma qui non è nemmeno necessario perché tutto registrato) partiamo nell’escursione verso ovest, una parte del parco è aperta a tutti, quella più lontana solo a chi pernotta nei lussuosi resort sorti da poco. L’orario non è dei migliori, alba e tramonto garantiscono la maggior parte di visioni degli animali, ma l’Etosha si rivelerà strepitoso in qualsiasi momento, anche se gli animali per qualche momento non sono presenti in forza le viste compensano. Dato che il parco è visitabile in totale autonomia, nonostante sia abitato da felini pericolosi che si avvistano senza problemi, meglio farlo seguendo le indicazioni della guida Guidebook to the Waterholes and Animal che fornisce basilari informazioni, specifica tutte le pozze dove gli animali vanno ad abbeverarsi, quali è più facile vedere nei 3 periodi che contraddistinguono le stagioni del luogo, le vie migliori da seguire, la descrizione degli animali e le loro impronte, i luoghi sicuri dove poter far sosta senza dover condividere l’area con una leonessa, insomma tutto quanto per trasformare un turista della domenica in Indiana Jones. Il parco è stracolmo di ungulati, tra qui ed il Caprivi penso che chiunque divenga un fine ricercatore di specie rare e bravissimo nel distinguere gli uni dagli altri, così alle prime pozze Natco (ora secca), Adamax (idem), Okondeka (nel pan, con l’infinito bianco a far da sfondo), e Wolfsnes (secca) dobbiamo schivare zebre, gnu, springboks e orici, animali che dopo qualche tempo non prenderemo nemmeno più in considerazione tanti se ne avvistavano e tanto è possibile avvicinare. Le zebre poi sono in un numero esorbitante, le loro migrazioni incredibili, notiamo che molte hanno i piccoli al seguito, evidentemente è una situazione comune a più animali ora qui in Namibia. Terminato questo lato, andiamo verso est con prima sosta a Nebrownii (con acqua) dove sguazzano più sciacalli sempre timorosi e guardinghi, da qui andiamo a Gemsbokvlakte, una grande pozza dove si danno appuntamento vari tipi di ungulati. Mentre prendiamo la via per Gaseb ci imbattiamo in sette leonesse che procedono verso la pozza appena lasciata, una è sempre di guardia anche perché un rinoceronte poco gradisce questo passaggio e prova ripetutamente a scacciarle. Le leonesse seguono pian piano la strada così invertiamo la marcia e le seguiamo rimanendo a pochi metri da loro, mentre tutto intorno le altre specie animali sono in confusione, rinoceronte escluso. Ci avviciniamo talmente tanto a queste leonesse che il teleobiettivo è più un impedimento che una fortuna, avevo letto e ascoltato mirabilie su questo parco ma mai avrei immaginato di poter interagire così con animali del genere. Le leonesse fanno tappa alla grande pozza per l’abbeverata serale, uno spettacolo assoluto, con altre poche persone, siamo quattro auto in tutto, in rigoroso silenzio ammiriamo e fotografiamo questa scena che pare uscita da un documentario del National Geographic più che a nostra portata di mano. Quando il sole è ormai calante ci corre obbligo rientrare, i cancelli del camp chiudono al termine del tramonto, rientriamo in scia alle altre auto senza infrangere il limite ma dobbiamo fare un’ulteriore sosta perché una iena maculata è lì a bordo sentiero che attende il nostro passaggio. Quando gli ultimi raggi di sole lasciano l’orizzonte prendiamo posto al camp ma prima di predisporci alla cena un salto alla pozza limitrofa al camp va fatto, vi si trovano sempre a distanza ravvicinata ma divisi da una rete di protezione giraffe, elefanti, rinoceronti e kudu. Terminata la cena ritorniamo alla pozza che è illuminata, anche se non con una luce che permetta buone foto, scorgiamo un unico rinoceronte. C’è da dire che reti e protezioni tengono fuori i grandi animali ma di sciacalli se ne incontrano anche nel camp, in seguito anche qualche facocero, animali che però non creano disturbi. Percorsi 378 km, fuori dal parco tutti su asfalto, all’interno su strade sterrate in ottime condizioni e con buona segnaletica.
Leonesse alla pozza, Etosha National Park
16° giorno
Alba alla pozza ma poco frequentata, qualche kudu, nulla di più. Terminata colazione partiamo verso est con prima tappa a Kapupuhedi in prossimità del pan (acqua ma niente animali), a seguire Ondongab (secca e qualche animale) ed infine Gonob più all’interno del pan dove un'enorme pozza funge da “area di servizio” per una migrazione infinita di zebre e a seguire orici. Notiamo che raramente animali distinti si abbeverano assieme, una legge della savana prevede per ognuno il proprio turno. Lasciata dopo parecchio tempo questa pozza, entriamo nell’area di Halali con prima sosta a Sueda (poca acqua e pochi animali), continuiamo per Charitsaub (acqua e struzzi, caratteristico il loro movimento continuato per bere), Salvadora (acqua e animali a profusione) e Rietfontein (acqua e animali a centinaia, compresi gli alcefali, della famiglia delle antilopi, i più veloci nonostante la mole, capaci di sfuggire perfino ai ghepardi). Da qui entriamo all’Halali rest Camp, prenotato in anticipo ma con qualche piazzola vuota, preso posto continuiamo l’esplorazione visto che da qui ci sono percorsi ad anello che vanno verso la parte della foresta abitati da tipologie differenti di animali. Percorriamo il Rhino Drive dove rinoceronti non ne scorgiamo, in compenso branchi di elefanti lambiscono il pick-up mentre mangiano in continuazione alberi, questo percorso porta all’Eland Drive, per nulla battuto e in condizioni ben peggiori dei sentieri precedenti, il pericolo maggiore è provocato dagli attraversamenti al buio delle giraffe, che viste da pochi centimetri qualche ansia la provocano. Lungo il cammino oltre a giraffe si incontrano eland, alcefali e più tipologie di antilopi, alcune si possono avvicinare fino a trovarsi il muso a pochi centimetri, altre sono più guardinghe. Terminati questi percorsi tappa alle pozze Goas (acqua e giraffe) e Nuamses (acqua ma niente animali, pozza molto scenografica), quindi rientriamo ben prima del tramonto perché vogliamo dedicare questo momento della giornata alla pozza del camp, Moringa, che si raggiunge a piedi dal campeggio, con una tribuna naturale sulla collina di fronte. Osservando rigorosamente i propri turni arrivano più animali, le giraffe sono le prime, poi kudu, eland e per finire gli attesissimi e rari rinoceronti bianchi che al calare del sole regalano un lungo spettacolo ai tanti spettatori qui giunti. La pozza è illuminata quindi è possibile vedere gli animali anche durante la notte, per ottenere foto di una certa qualità però occorre avere al seguito un armamentario di obiettivi di primissimo livello, poi se ci si accontenta di foto souvenir è altro discorso, ma confrontandosi coi presenti le foto presentabili erano ottenute minimo con un 200-400 Nikkor che costa quanto un grosso scooter. Per precisare, ho incontrato anche una coppia che esibiva assieme varie focali tra cui il famigerato Nikkor 800mm f/5,6 o 1000mm f/7,1 che costa quanto un’utilitaria! E questo per iniziare ad avere qualcosa di buono… Scendiamo quando il tramonto è solo un ricordo, ci prepariamo alla cena, forse gli unici a non esibire il classico braai, ma poco male, ormai ai nostri cibi ci siamo affezionati e un braai prima o poi lo troveremo. Percorsi 185 km, tutti nel parco su sterrato in discrete condizioni, ma sulle vie minori la segnaletica non è sempre presente o leggibile.
continua...
BLOGGER
Luca