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Sahara algerino - I

Diario di un'attraversata nel cuore del grande deserto africano

1° giorno

Parto di primissima mattina da Bologna in un giorno di grandi difficoltà di trasporti, così in stazione apprendo che il treno che avevo prenotato arriverà chissà quando. Devo comprarmi un nuovo biglietto (di prima mattina le biglietterie sono chiuse) alle biglietterie automatiche non potendo così sfruttare quella già pagato e salgo sul primo treno per Roma, un Freccia Rossa che nasce a Bologna e quindi non porta ritardo. Arrivo comunque a Roma con 70’ di ritardo, ma al volo prendo il Leonardo Express e in 30’ sono a Fiumicino. La coda per il check-in della Air Algeria è corta, e non ci fanno nemmeno problemi a imbarcare bagagli pesanti (cioè gli zaini son leggeri ma le vettovaglie più tutto il cibo “secco” non proprio), superiamo di poco la quota di 20 kg a testa ma per loro va bene così. Si parte con un’ora di ritardo, arriviamo con lo stesso ritardo ad Algeri dopo 1:45, volo allietato da un pranzo disgustoso, un pollo bollito anni prima al limite del commestibile. All’aeroporto di Algeri i bagagli vengono consegnati velocemente, occorre ritirarli perché il terminal internazionale è separato da quello nazionale. Le pratiche per uscire sono veloci, viene presa anche la temperatura corporea come precauzione per la ormai dimenticata influenza H1n1 (automaticamente con una sonda a distanza e il tutto proiettato in uno schermo). C’è un ufficio cambio valuta operativo e celere che consegna banconote intonse, sulle quali spiccano alcuni graffiti che poi si vedranno nei Tassili. Il terminal nazionale dista 300 metri, che si percorrono sotto una tettoia e all’entrata occorre passare sotto al primo metal detector. L’attesa per il check-in è lunga e la passiamo al Timgod Caffè, prezzi europei ma buona qualità sia per spremute che caffè. Fatto il check-in occorre andare a un altro sportello per il controllo passaporto e biglietto, poi nuovo metal detector per arrivare al gate. Qui l’attesa si prolunga e partiamo in ritardo di 3 ore con un aereo della Neos, che fa servizio in waiting list per Air Algeria (in pratica lavorano sui ritardi della compagnia di bandiera che devono essere uno standard). Prima di salire sull’aereo occorre riconoscere il proprio bagaglio sulla pista, caricarlo sul carro che lo porterà all’aereo e passare un nuovo controllo per il bagaglio a mano. Sul volo c’è personale italiano e altrettanto è la compagnia, che ci serve uno spuntino veloce. L’orario è già abbondantemente dopo mezzanotte, dormirei volentieri ma una ragazza algerina che mi siede accanto è curiosissima di sapere del perché me ne vado nel mezzo del deserto, per lei è solo un viaggio a trovare il padre militare a Tam. Dopo un po’ le faccio notare che da noi è vietato tenere il cellulare acceso in volo, per lei che viaggia sempre su aerei militari è una sorpresa, fortunatamente una hostess la redarguisce facendo stare tutti un po’ più sereni. All’arrivo le pratiche per uscire sono velocissime, e facciamo conoscenza coi due autisti che ci porteranno in giro per il deserto, Ahmed e Mustafa, che ci portano di volata al hotel dove alle ore 5:00 ci buttiamo a dormire.

 

El Ghessour

 

2° giorno

La sveglia suona alle 8:00, dopo una “lunga” dormita facciamo colazione nell’albergo di stile coloniale, iniziano a preparare le vettovaglie dividendo per bene quello che ci servirà per colazione, pranzo e cena e ci accorgiamo che salendo sulle mura che circondano l’albergo si scorgono già le prime montagne che fanno da sfondo a Tam. Ma occorre partire per far spesa, così ci fermiamo al mercato centrale (a Tam si trova di tutto) per comprare frutta, verdura, uova, pane (la baguette è ovunque), taniche per l’acqua, stuoie da utilizzare come tavole, spruzzino a diffusore per lavarsi (già, non si può sprecare acqua e con poca si deve fare tutto, ma come insegnano i maestri del deserto, qui non si suda e non si sente l’esigenza di lavarsi) e bombola del gas per cucinare (la bombola ci vien fornita, noi dobbiamo però caricarla del gas). Espletate tutte queste operazioni riempiamo le taniche di acqua (scelte da 20 litri cad.) a una fontana preposta in una via di Tam e procediamo a filtrarne una alla volta col Micropur (una pastiglia per litro, deve rimanere almeno 30’ in filtraggio). Le jeep sono rodate Toyota Landcruiser (già a referto 300.000 km cadauna) che si avventurano ovunque salendo dove pare impossibile, anche per merito di chi le guida con grande precisione, e con queste iniziamo il viaggio in direzione sud verso il Tassili du Hoggar dopo che Ahmed ci ha già chiesto se ci va di fare una deviazione rispetto a quanto avevamo ideato noi. Ci propone di passare qualche giorno in più verso sud, in luoghi meno battuti per recuperare tempo nella seconda parte. Dice che quanto visiteremo è particolarmente bello e così accettiamo subito, prendendo la strada asfaltata in direzione In-Guezzam che sarebbe poi il posto di confine col problematico Niger. Lasciamo la strada dopo pochi km, seguendo per Tamekrest lungo una strada che è già una pista sovente all’interno di uno uadi (letto di fiume secco, almeno al momento, non sempre nella stagione delle piogge che coincide con l’estate). Per gli autisti la pausa di mezzogiorno è d’obbligo, noi sfoggiamo scatolette di tonno o salmone con un po’ di verdura comprata al mercato, loro si cucinano subito qualcosa sul fuoco realizzato con legna che si son portati da casa. Fa caldo ma non eccessivamente e terminati i giri di the (tanti ogni volta, ma è veramente squisito) si parte per le cascate di Tamekrest che però in questo momento son praticamente secche. Si notano già rocce levigate in maniera incredibile dalla forza dell’acqua, quindi l’acqua ci deve essere sul serio. Continuiamo verso sud-est fermandoci a far campo in uno uadi laterale di quello di Agargar, il sole si perde dietro alle montagne verso le 18:30 ma la luna fa una buona luce e abituandosi non servirà più di tanto nemmeno la pila (consigliabile quella da testa a led così si consumano poche batterie), godendoci così un cielo stellato che mai diventa nero ma resta di un blu cobalto persistente. Il tramonto non è particolarmente bello in questo posto un po’ anonimo ma l’orario non ci permetteva di procedere ancora. Ci prepariamo la prima cena nel deserto cadendo su mezze maniche al tonno arricchite di varie verdure accompagnate in seconda battuta da una ricca frittata di uova, cipolle e zucchine. Non male come prima cena, ma il cous-cous degli autisti pare farci una grande concorrenza. Nonostante si sia cercato un luogo riparato, c’è vento e nelle tende si sente abbastanza. Percorsi 159 km, su piste buone.

 

Le dune vellutate di Tinakacheker

 

3° giorno

Sveglia ore 7:00 e colazione al campo, poi smontate le tende scendiamo a piedi allo uadi principale, vedendo come si siano sviluppate le piante di qui alla ricerca di acqua. C’è un albero distante oltre 30 metri che ha le radici giunte fino allo uadi alla ricerca di acqua, la sua sopravvivenza in questo luogo arido. Partiamo ma subito gli autisti notano ottimo legno di acacia e ne fanno scorta, le braci che produce sono le migliori per il fuoco. Poi si entra veramente nel deserto, saliamo su di un grande pianoro con sui lati lontanissime montagne e nel mezzo strane formazioni lavorate dal vento. Il senso di “desertico” è già presente, non c’è più traccia umana ma siamo solo all’inizio. Facciamo un’escursione in una grotta dominata da un arco triplo e uscendo sullo sfondo compaiono già le formazioni a canne d’organo che svettano un po’ in ogni posto nel Tassili du Hoggar, diventandone un simbolo. Procediamo velocemente sempre su piste arrivando a un luogo fantastico, un canyon tra rocce favolose con dune che lo attraversano dai colori intensi. Proprio qui nel mezzo facciamo sosta e, mentre gli autisti si preparano il solito lungo pranzo, noi abbiamo tempo per visitarci il canyon incredibile. Le viste valgono già la scelta di far questa deviazione e siamo già esaltati. Il posto si chiama El Ghessour e si trova nel Tikadiren, sembra di stare nel mezzo della creazione del mondo quando l’uomo non aveva ancora fatto la sua comparsa. Poi ripartiamo scendendo da questo altipiano per salire su di un altro nelle vicinanze dove si trovano alcune pitture rupestri (niente di particolarmente spettacolare) e una guelta (laghetto naturale dove si può recuperare acqua, ma utilizzate prevalentemente da animali). Come ci insegnano le guide, quando si trova acqua, è sempre meglio raccoglierla. Così riempiamo alcune taniche vuote, non mescolandola con altra più pulita, e partiamo per un lungo percorso in direzione di Tinakacheker, la perla del Tassili du Hoggar. Dal lato da dove proveniamo, iniziamo a scorgere un gruppo di dune perfettamente vellutate, sovrastate da formazioni con archi e canne d’organo, poi avvicinandosi lo spettacolo diventa sempre più inverosimile. Siamo già estasiati, ma le guide ci dicono che questa è la parte posteriore e non merita tanto. Aggiriamo le dune ed entriamo in un anfiteatro naturale cinto da dune che lascia senza fiato. Ci dicono che possiamo far campo qui, e quasi mi vergogno di pestare queste dune che sembrano intonse da sempre. Piantiamo in tutta fretta le tende per goderci il tramonto che colora le dune e lancia le ombre delle rocce su di esse come fossero pennellate del più incredibile dei pittori. Dovrebbe essere l’alba lo spettacolo migliore, già questo pare impressionante e la memoria della Nikon si riempie di scatti. Prepariamo la cena e ormai siamo una collaudata macchina da guerra, ognuno ha il suo ruolo e i tempi si accorciano, godendoci un’abbondante pasta con ratatouille di contorno. La sabbia è fondamentale nel lavare le pentole e permette di non sprecare troppa acqua, non più di 3 litri al giorno devono essere sufficienti per lavare e risciacquare. Le rocce calde dal sole del giorno fanno da termosifone naturale e riparano anche dal vento, così la notte non è per nulla problematica, ma si entra in tenda quando abbiamo già visto tutte le stelle inimmaginabili, vedendo che qui la cintura di Orione è difficile da distinguere per il troppo affollamento nel cielo! Una stella dalla forte intensità che compare a sud è per le guide la stella del Niger, ovvero quella che ne indica il percorso, da qui mancano meno di 200 km. Per tutta notte il blu non scivola mai nel nero, regalando uno spettacolo aggiuntivo a quanto visto di superbo nel giorno. Percorsi 142 km, su piste buone ma anche su dune da passare solo grazie alla forza delle marce ridotte e con pneumatici sgonfiati all’occorrenza.

 

Lo uadi di Tin Tarabine

 

4° giorno

Sveglia per l’alba alle 6:30. Le dune in lontananza iniziano a colorarsi, poi nemmeno troppo lentamente sorge il sole e tutto diventa rosso, ocra e infine giallo. Ma lo spettacolo incredibile è alle spalle, le grandi formazioni rocciose sembrano prendere fuoco per il rosso intenso che si sparge in giro riflettendosi sulle dune. Queste, attraversate da zone di ombra, sono una spettacolo che fluttua in continuazione e si finisce sperduti in questo mare di sabbia colorata. La bellezza del luogo è incredibile, solo quando il sole inizia a essere già alto si passa alla colazione e a richiudere le tende per poi partire in direzione della Chambre de Tagrira. Si tratta di una grande formazione rocciosa che nel corso dei secoli il vento ha modellato a creare una grande camera all’interno di rocce a forma di funghi. Ci sono ovviamente varie aperture e archi a regalare viste che variano da ogni lato e qui incontriamo anche qualche altra persona in escursione, una coppia francese con al seguito i tre figli (impensabile per degli italiani) che attraversano a piedi questa parte di Tassili du Hoggar. Da qui si parte a tutta velocità su di un plateau che pare infinito, non avendo riferimenti non se ne percepisce l’immensità, solo dopo circa 40 km ci fermiamo nei presi di una roccia con diversi graffiti rupestri a ricoprirla. Ci sono giraffe, cervi e rinoceronti a dimostrazione che tanti anni fa qui non c’era il deserto ma la savana. Siamo nel mezzo dello uadi di Tin Tarabine, ma non proseguiamo lungo questo uadi perché ci aspetta il luogo di Youf Ahakit (che in tamaschek significa “meglio della tenda”) famoso per le sue guglie di roccia a canna d’organo. Prima di arrivarci si vede l’enorme roccia modellata dal vento a forma di capra, poi nei dintorni si trovano altre pitture rupestri e sotto a una grande formazione rocciosa facciamo tappa per il pranzo. Qui si sfiorano i 30° e conviene trovarsi un’ombra tra le tante zucche del deserto, cibo per i dromedari. Si riparte velocemente per una posizione da cui salire a vedere nel modo migliore le canne d’organo, che svettano al fine di una grande distesa di rocce nel mezzo della sabbia. Continuiamo per un posto che s’innalza al di sopra di rocce incredibili e dai colori dettati dal sole, luogo che si apre dopo una grotta dai tanti archi. Sabbia ocra con rocce che paiono prendere vita in personaggi di ogni tipo, su tutti, almeno per me, il ritratto del Passator Cortese di Romagna, che chissà cosa starà facendo qui nel deserto del Sahara! Il luogo (Youf Aharlal che significa “meglio di una coppa d’acqua”, che qui vale oro…) lascia perdersi in svariati sentieri ma non ci si perde mai veramente se non nel proprio subconscio, anche perché occorre ripartire in jeep e salire ancora all’interno di un ulteriore altipiano che domina per intero questo Tassili. Incredibile da descrivere, rocce ancora più fini e lavorate, con sabbia a darne un quadro del tutto particolare, come se lo scenario fosse stato pensato da Dalì. Scendendo decidiamo di fare campo dietro a rocce colorate dal sole nel mezzo di una sabbia talmente ocra che pare finta. Ma nessuno ha voglia di piantar le tende in questa meraviglia, così si visita il luogo in tutti i suoi anfratti, oppure c’è chi si mette in meditazione faccia al sole caricandosi di un’energia sconosciuta. Per cena ci regaliamo tortellini in brodo seguiti da una gustosissima frittata umbra, degno finale di una giornata che ci ha regalato viste indimenticabili. Qui, protetti dalle rocce, con la luna che ancora non ci illumina, è possibile farsi una grande idea del cielo stellato, e vista la temperatura c’è la possibilità di dormire all’aperto senza paura che il freddo arrivi nel pieno della notte. Percorsi 131 km, tutti su pista ed anche al di fuori di queste ricorrendo sovente all’uso delle marce ridotte per cavarci dalle sabbie più infide.

Le formazioni rocciose di Youf Ahakit

 

continua...

 

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Roberto

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