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6° giorno - Body painting
Oggi si gira a piedi, visitando i villaggi nei dintorni di Benchagi, accompagnati da una scorta armata. Dopo aver attraversato una foresta dove vi sono dipinti Suri sulle rocce nel sentiero, giungiamo al fiume Magalogne dove i locali si recano per diversi motivi. Innanzitutto vi portano le bestie ad abbeverarsi ma anche, cosa che non fanno altrove, usano l'acqua, che ha delle proprietà dovute a qualche fenomeno di tipo vulcanico, per purificarsi l'intestino: bevono a grandi sorsi, usando delle calebasse, e poi attendono che, dopo pochi minuti, l'acqua sortisca l'effetto desiderato e vomitano. L'altro utilizzo è la pittura del corpo, che gli uomini effettuano spalmandosi del fango che poi disegnano fintanto che è fresco. Per il volto usano anche una polvere di colore rossastro, ottenuta macinando sul posto una pietra. Per i tratti più grossolani si usano le dita, per quelli più sottili steli o fiori di piante. Ci sono anche dei bambini, dai volti spettacolarmente dipinti, che poi ci seguirano per il resto della la giornata, cercando in continuazione di offrire degli spunti per essere fotografati: si arrampicano sugli alberi, si mettono in testa dei baccelli o in bocca i gialli frutti di nyam-nyam (si scriverà così? La guida dice che sono velenosissimi e che, messi sul fuoco, esplodono come petardi), inscenano danze, costruiscono con l'argilla delle corna simili a quelle delle antilopi che poi si piazzano sul capo. Ma non sono insistenti, si limitano a rendersi fotogenici senza assillare. Visitiamo 4/5 villaggi, un paio dei quali vuoti perché uomini e donne probabilmente sono al seguito del bestiame oppure forse, come nell'ultimo dei villaggi visitati, si sono radunati altrove, sotto l'ombra di un albero ciclopico a giocare all'incomprensibile mancala, quella specie di dama africana nella quale si spostano i sassi a turno da una buca all'altra. Nel tardo pomeriggio, in auto torniamo a Suri Kibish, a prendere informazioni circa il donga, la lotta rituale dei Suri e dei Mursi. Abbiamo la conferma che quella dei kalashnikov non è una commedia a nostro uso e consumo: all'ingresso del paese uno della nostra milizia fa fermare l'auto, scende e toglie il colpo che ha in canna, essendo vietato entrare in paese con l'arma carica. La guida contatta un campione di questa forma di lotta coi bastoni. Meno alto della media ma più massiccio, la sua fama è tale che nessuno lo vuole più sfidare e quindi è ormai relegato a fare da arbitro, visto che quando qualcuno lo ingaggia per un donga, di norma gli avversari rinunciano. Il periodo è quello giusto, dopo la stagione delle grandi piogge: siamo fortunati, pare proprio che il giorno dopo ci sia una di queste sfide. Il campione non si sbilancia, vuole essere sicuro o forse solo farla cadere un po' dall'alto, e così facendo scrocca un paio di birre per la dritta. Conosciamo anche una ragazza, un'Amhara, che è lì su mandato del governo etiope per svolgere attività "culturale": in pratica cerca di insegnare alle ragazze Suri di smettere il piattello labiale. Chiedo il motivo di questa campagna, e la ragazza dice che è per evitare che, usando le stesse lamette, si trasmettano infezioni. Le chiedo allora perché non insegni, piuttosto, a cambiare lametta invece che a cambiare tradizioni. La risposta è piuttosto vaga. Però, da quel che vedo in giro, non riscuote molto successo: le ragazze che non portano il piattello sono immancabilmente giovani, e quindi in età in età pre-matrimoniale.
Body painting al fiume Magalogne - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
7° giorno - Donga!
Ci vengono ad avvisare che nel villaggio vicino si tiene una festa, in vista di un matrimonio. Sarà vero o un trappolone per turisti? E' un dubbio che alla fine mi attanaglia sempre, quando la disparità economica è così tanta. Comunque andiamo al villaggio, arroccato in una delle colline non distanti. Sono tutti radunati nella "piazza" principale, e ballano e cantano, la base ritmica effettuata menando dei bacchetti su delle da taniche per l'acqua e dai sonagli portati alle caviglie dalle donne. In ogni modo, vera o finta che sia la festa, si divertono. C'è una donna particolarmente eccitata, che balla, fa facce strane, coinvolge tutti e ogni tanto sferra delle scudisciate con un ramoscello che tiene in mano. Ci presentano lo sposo, più tardi si unirà alle danze anche la sposa. Faccio foto, alcuni sembrano non gradire ma, appena controllo sul display il risultato, tutti si protendono per vedersi o vedere. Giro anche un filmato e glie lo mostro per soddisfare la loro incontenibile curiosità. Anche la guida si fa coinvolgere, viene trascinato nella calca ma, non appena gli arriva una scudisciata, batte subito in ritirata. Poi veniamo invitati, da ospiti importanti quali siamo, a sederci nella zona riservata agli uomini, lasciando le danze alle donne: tra vigorose strette di mano, brindisi di borde (una specie di birra locale che però ha più l'aspetto di un caffelatte sul quale galleggia un po' di tutto) dalle calebasse, e canne di kalashnikov rendiamo onore agli anziani del villaggio. Torniamo al campo, dove giunge anche a noi la notizia del fattaccio della sera prima: all'altezza del fiume che guadiamo ogni volta che dal campo andiamo al villaggio, due Suri si sono sparati: uno è rimasto ferito ma l'altro ci ha rimesso la pelle. Torniamo a Suri Kibish, visto che ci è giunta conferma che si terrà il donga, la lotta rituale che, a onor del vero, i Suri chiamano saginay. Incontriamo 3 italiani, di Torino: sono gli unici bianchi che incontreremo a ovest del fiume Omo e, manco a farlo apposta, con una di loro scopro di avere delle conoscenze in comune... Il motivo del donga è una ragazza da sposare, ambita da due giovani di villaggi diversi e lo scontro ha lo scopo di determinare chi avrà il diritto di chiederla in sposa. Lei non potrà che adeguarsi al risultato dello scontro. Con l'occasione anche altri giovani dei due villaggi coinvolti prendono parte all'evento, per mettere in mostra il proprio coraggio. Prima dello scontro vero e proprio i combattenti sfilano cantando e ballando, con lo sfidante del villaggio in testa che sfoggia la propria sicurezza con atteggiamenti volti ad irridere gli avversari. La lotta si svolge tra 2 contendenti, spesso in contemporanea ad altre coppie di sfidanti, che si colpiscono con dei bastoni lunghi fino 3 metri. Molti indossano delle protezioni, soprattutto su mani, stinchi, collo e testa, ma i più coraggiosi non indossano nemmeno quelle e sono completamente nudi. Le cicatrici che costellano i corpi di alcuni rivelano che molti non sono alla loro prima esperienza del genere e non ci vuole molto per vedere le prime ferite sanguinare. I combattenti saranno circa una decina per villaggio e tutto intorno ci sono quelli dei villaggi che tifano per la propria fazione più i curiosi giunti da Suri Kibish: a occhio e croce ci saranno 300/400 persone. C'è una gran confusione: gli sfidanti si tirano delle gran randellate, gli spettatori spingono per stare in prima fila, salvo poi indietreggiare precipitosamente per evitare le bastonate o quando gli addetti all'ordine fanno a loro volta mulinare le pertiche per impedire che la folla si avvicini troppo. Sono come un pisello nel bacello e scatto foto a tutto spiano, sballottato tra la folla che va avanti e indietro. Purtroppo l'attenzione a inquadrare le scene più interessanti non mi fa mettere a fuoco quello che succede a pochi centimetri da me: qualcuno, molto probabilmente un bambino, mi ha aperto la cerniera di una tasca laterale dei pantaloni e mi ha soffiato soldi (oltre 3000 birr, pari a circa 150 euro) e passaporto. Quando me ne accorgo non ha ancora finito l'opera e riesco a salvare la carta di credito e la carta d'identità. Che coglione! Eccitato dalla situazione spettacolare che sto vivendo ho dimenticato di prendere quelle precauzioni che prendo sempre. Da lì in poi rispolvero il mio giubbotto con cerniera interna, ma ormai il danno è fatto. Avviso la guida, che si dispera. "Non mi preoccupo dei soldi" gli dico subito "L'importante è il passaporto". Mentre si sta ancora svolgendo il donga fa il giro dei capivillaggio presenti e degli arbitri, avvisandoli della cosa e, mi dirà in seguito, fissando anche un premio di 500 birr per il ritrovamento del prezioso documento. Rientriamo al camp, sono incavolato, in primis con me stesso, ma anche determinato a non rovinarmi quel che resta del viaggio: il giro è già tutto pagato, gli spicci per le foto ai locali li ho ancora perché li tenevo altrove e per eventuali bisogni la guida ha detto che può prestarmi dei soldi che poi rimborserò al mio rientro ad Addis Abeba. Domani è un altro giorno.
Donga! - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
8° giorno - Dal commissariato di polizia al caldo torrido dell'Omo NP
Si va alla locale stazione di polizia per denunciare il furto di soldi e passaporto, più che nella speranza che conti qualcosa almeno per ottenere un permesso che verrà utile più avanti, quando attraverseremo il fiume Omo. Anche se non metteremo piede su suolo straniero, poiché l'attraversamento avverrà a pochi kilometri dal confine con Kenya, per evitare gente che entri via fiume evitando la frontiera, di norma si controllano i documenti a chi passa da una riva all'altra. Al nostro arrivo il comandante della caserma non c'è, lo mandano a chiamare (il pomeriggio prima, appena venuti via dal luogo del furto, ci eravamo già stati e la risposta era stata "venite domattina"), e dopo una buona mezz'ora arriva. È un Amhara, tanto per cambiare, piuttosto giovane e atletico, anzi sembra quasi un culturista, cosa piuttosto rara da queste parti dove tutti sono secchi. Pare che sia un vero atleta, capace di fare salti mortali e la gente del posto nutre per lui, anche per questo motivo, un grande rispetto. Si fa spiegare i fatti e dopo una mezz'ora ci consegna il verbale, vergato a biro e col prezioso timbro della polizia etiope. Lo ringrazio, lui sfodera un sorriso a 32 denti e scatta in un energico saluto militare, come per dire: "Nessun disturbo. Ho fatto solo il mio dovere". Gli porgo la mano e lui la stringe con una vigorìa che conferma le voci sulla sua forma fisica. Da Suri Kibish ci dirigiamo verso il Parco Nazionale dell'Omo, non prima di esserci fermati appena fuori villaggio a fotografare la donna col piattello più largo visto finora. Ad un certo punto prendiamo una deviazione a sinistra, niente di più di un sentiero: è la pista per andare al quartier generale del parco. Il mio conterraneo è stupito e chiede alla guida: "Ma come fai a sapere che è questa la strada giusta?". La risposta è: "Avevamo chiesto nel villaggio. Ci hanno detto che era la prima a sinistra". La pista si distingue a malapena dalla savana circostante perché, a parte i binari lasciati dalle ruote delle auto precedenti, l'erba è alta più di un metro e da lontano non è individuabile, la si vede solo percorrendola. Il mezzo non ha l'aria condizionata e nonostante la temperatura cominci ad essere piuttosto alta, dobbiamo tenere i finestrini quasi chiusi. Lasciamo solo uno spiraglio, per far sì che passi un filo d'aria ma è comunque sufficiente a far sì che l'auto si riempia di cavallette, ragni, insetti stecco e le altre forme di vita che, arrampicate sugli steli dell'erba alta, quando vengono colpiti dal paraurti dell'auto saltano da tutte le parti. Facciamo una breve sosta per il pranzo, sotto ad un albero la cui ombra ci ripara a stento dal sole cocente. Prima di ripartire il compagno di viaggio perugino sale sul tetto dell'auto, per fare una foto dall'alto. Saliamo in auto, allora lui scende in fretta e furia e invece di appoggiarsi all'auto, salta direttamente dal tetto. Purtroppo per lui, nascosto dall'erba alta c'è un sasso, e l'atterraggio è disastroso: distorsione alla caviglia, da questo momento e fino alla fine del viaggio (e anche oltre) non riuscirà più ad appoggiare il piede, nonostante le fasciature e i massaggi ripetuti ogni sera. Arriviamo al camp. Il posto è molto bello, immerso nel verde nei pressi di un fiumiciattolo. Lo staff e il mio conterraneo fanno il bagno nelle acque ma io, condizionato dalle letture sulle malattie che si possono contrarre nelle acque dei fiumi tipo la bilharzia, non li seguo. Però dopo giorni in cui non mi sono potuto fare una doccia riesco a strappare il consenso a fare uso gratuito dei bagni dei bungalow, che in quanto campeggiatore non avrei il diritto di utilizzare. Una delle doccie più assaporate di sempre, benché l'acqua non potesse che essere quella prelevata dal fiume. La stessa acqua a pochi metri più a monte è frequentata da una coppia di bufali, che una guida armata ci porta a vedere. L'Omo NP non è il massimo da un punto di vista degli avvistamenti di animali selvaggi, specie per chi come me è già stato in Tanzania e Namibia. Ma per i miei compagni di viaggio è il primo safari, e gradiscono. È quasi sera quando il mio compaesano va di nuovo al fiume, da solo. Ne tornerà dicendo di aver visto un coccodrillo tuffarsi nella stessa acqua dove, poche ore prima, aveva fatto il bagno: ma non tutti gli credono e nonostante giuri e spergiuri lo prenderemo in giro per questo per tutto il resto del viaggio.
Nel Parco Nazionale dell'Omo - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
continua...
ESPERTO: Viaggi etnografici e alternativi
Roberto