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Il deserto del Kalahari - II

Diario di un viaggio in un ecosistema unico

 

... segue 

 

6° giorno 

Sveglia e solita colazione cercando di schivare gli agguerriti buceri intenti a colazionare coi nostri cibi, poi smontato il campo si parte in direzione ovest girando attorno ad alcuni pan con protagonisti soprattutto grandi branchi di gnu, che all’occorrenza si lanciano in lunghissimi e spettacolari salti. Il terreno si fa via via più sabbioso, più deserto tradizionale anche se di alte dune vere e proprie non c’è traccia, ma bastano poche decine di metri di salita e per i mezzi diventa un problema procedere. Così impieghiamo parecchio tempo per raggiungere il Nossob Camp Hut che si trova proprio al di là del confine segnato dall’alveo (in questa stagione secco) del Nossob River, pieno di volatili di ogni colore e di suricati ritti al sole. Da qualche anno per chi entra ed esce dal Kgalagadi sempre dalla parte del Botswana non occorre più fare il passaggio di frontiera, così le pratiche una volta arrivati sono veloci, non ci sono bungalow disponibili quindi si fa campo come al solito, ma ci sono servizi igienici dotati di calde docce, particolare non trascurabile. Visto il vento decidiamo, prima di montare le tende, di smangiucchiare qualcosa e di far spesa al piccolo market che si trova all’entrata poi, terminata questa incombenza, di fare un salto al capanno di osservazione coperto che da su di una pozza per abbeverarsi dove dovrebbero passare svariati animali. È pomeriggio, caldo, quindi si vede al solito qualche erbivoro, alcuni sciacalli e poco altro, e dopo un po’ di riposo partiamo verso sud, direzione Two Rivers per un game driver, che non sarebbe altro di un giro di perlustrazione alla ricerca di animali. Lungo la pista, su sabbia ma ben battuta, ci sono alcuni luoghi per abbeverarsi e attorno a questi la vita animale pullula, anche se per la verità gli animali son sempre quelli. Però scambiando info con altri escursionisti veniamo avvisati che nei paraggi son stati avvistati leoni, e in effetti su di una collinetta di nemmeno 15 metri ne scorgiamo tre, due femmine ed un maschio, dalla criniera folta, tutti in riposo, probabilmente ad attendere il calar del sole per entrare in azione. Sono ben visibili e vicini e soprattutto il maschio incute un certo timore, ovvio che non si possa scendere dai mezzi, ma non possiamo nemmeno fermarci a lungo perché il camp chiude tassativamente alle 18 e per quell’orario, calato il sole, occorre esser già all’interno, è possibile uscire solo con un'escursione organizzata dai gestori, fattibile anche di notte. Dopo una fondamentale doccia è tempo di preparare la cena e terminare la serata al capanno di osservazione lungo il Nossob river, una potente illuminazione sparata su di un abbeveratoio permette una semplice visione, ma oltre ai soliti erbivori, a qualche sciacallo poco altro, tranne qualche “risata” di iene, che però non riesco a scorgere. Qui a Nossob la temperatura è più elevata, certamente superiore ai 5°, in confronto alle notti precedenti par quasi caldo così da poter rimanere alzati più a lungo e senza la paura di imbattersi in animali durante la notte, dato che il camp è cinto da un'alta rete di contenimento lungo tutto il perimetro. Ci dovrebbe essere anche una piscina, ma non l’ho vista e a dire il vero nemmeno cercata. Percorsi 112 km, la parte di avvicinamento su pista pessima.            

 

Un ghepardo lungo il Nossob River

 

7° giorno 

Sveglia prima dell’alba per un salto al capanno sul Nossob River dove vedere gli animali che si danno il cambio all’abbeveratoio (una specie alla volta, raramente animali differenti bevono assieme, al massimo sono gli springboks che lo fanno), poi fatta colazione e smontate le tende partiamo in direzione nord costeggiando l’alveo del fiume sul lato ovest, salendo su di una collina che regala una bella visione d’insieme. Da qui vediamo in lontananza tre leonesse far a loro volta colazione con quel che resta di un grosso erbivoro, nelle retrovie gli sciacalli son già appostati per terminare il lavoro quando scatterà il loro turno. Poco dopo gli autisti notano nel mezzo di alcune sterpaglie un movimento strano, ed incredibilmente proprio a fianco della pista compaiono tre ghepardi che stanno facendo la posta ad un branco di gnu. Disturbati dalla nostra presenza ci guardano a lungo nella speranza di esser lasciati in pace, ma ovviamente la vista di questo “gattone” così vicino ce la godiamo a lungo. Il ghepardo, l’animale più veloce del mondo, è probabilmente il predatore dalla minor forza, basa la sua sopravvivenza e caccia su di una velocità impressionante, può raggiungere i 130 kmh, ma lì può sostenere per circa 30” e dopo deve riposare per quasi 45’. La pista è buona e quindi abbiamo tempo per osservare questi predatori nel mezzo del loro terreno. Quando ripartiamo incrociamo la strada con una iena in fuga, enorme e con in bocca una zampa di non so che animale e a breve distanza una leonessa si abbevera in una pozza. Disturbata da qualche mezzo di troppo, ci taglia la strada buttandosi di fretta tra le sterpi che riempiono la zona, poi poco oltre lasciamo la pista principale per prendere una deviazione verso nord-est che si snoda tra una vegetazione di altezza media, gialla e regolare, tale da non dare una precisa profondità al luogo. Nel mezzo di questa, ben attenti a chi ci sia a fianco decidiamo di far tappa per uno spuntino, gli unici animali che si scorgono nei paraggi sono struzzi che però scappano alla nostra apparizione. Sulla pista impronte di ogni possibile animale, ma come sovente accade di giorno finiamo per vedere solo erbivori, anche se oggi è stata una giornata decisamente fortunata. Continuando il percorso peggiora, la velocità si riduce e così arriviamo al Sesatwe Pan nel tardo pomeriggio. L’enorme pan è solcato solo da due orici che alla nostra vista iniziano a correre dalla parte opposta ma pian piano con tutto lo spazio a disposizione ce li troviamo quasi sotto alle ruote. Un incidente in mezzo al nulla più totale sarebbe il massimo dell’assurdo, riusciamo a schivare il danno e giungiamo al nostro camp, il solito albero col nulla attorno. Al calar del sole sale un vento incredibile che non ci permette di montar le tende, l’unica possibilità è quella di ripararci all’interno dei mezzi attendendo che si plachi, cosa che avviene solo in parte una volta che il tramonto è terminato, così dobbiamo montare le tende la buio con la temperatura che precipita. Tra il vento residuo e il freddo decidiamo di cenare a secco, senza utilizzare i fuochi della cucina da campo se non per scaldare alla meno peggio un po’ di acqua per un caffè, buono a tonificarci per la notte più fredda del viaggio, tra -3/4°. Ovviamente qui dove pare non passar nessuno da giorni siamo super osservati nel nostro campo da svariati occhi appartenenti a indefiniti animali, meglio non pensarci e chiudersi in tenda dentro ad un buon sacco a pelo. Percorsi 162 km. 

 

Una leonessa da distanza ravvicinata

 

8° giorno

Sveglia all’alba, freddo intenso e colazione che serve più a scaldarsi che a cibarsi, poi andiamo su pista sempre in pessime condizione al Kaa Gate dove si esce da Kgalagadi a nord nel settore del Botswana, tempo per regolarizzare l’uscita e per vedere qualche mangusta che gira indisturbata, poi si prende una pista che riporta distanze non certo incoraggianti visto il fondo. Lo scenario è monotono, una specie di mix tra savana e deserto, non particolarmente elettrizzante, si viaggia piano e ci fermiamo per pranzare dove la vista permette di notare eventuali animali non amici avvicinarsi. Ma a parte qualche kudu tutto è tranquillo, poi ripreso il viaggio una volta giunti a Hukuntsi (passati circa 100 km) l’asfalto ricompare e così lo spostamento diventa più agevole ma rimane anonimo alla vista. Tappa a Kang, ma in realtà facciamo sosta prima della città, presso il Kalahari Rest Lodge, un enorme centro visitatori dove poter scegliere tra bungalow, camere vere e proprie o aree per tende. Noi optiamo per quest'ultima soluzione, anche perché pare che sia tutto occupato, a vista non sembrerebbe, ma discutere è solo tempo perso. Ci offrono the e biscotti, molto english come accoglienza, e per chi decide di cenare al ristorante meglio ordinare in anticipo. C’è anche un interessante libro/guida su tutti gli animali del posto, dalle impronte a cosa mangiano, dalle forme delle feci alle dimensioni fino a cosa cacciano e da cosa possono venir predati. Quando si finisce nelle pagine di leopardi e leoni alla voce di chi siano i loro predatori emerge forte e dura una parola: uomini! E guarda caso, mentre giriamo per il posto ci imbattiamo in vari cacciatori qui in battuta, due mostrano orgogliosi un leopardo abbattuto, purtroppo fuori dalle aree protette è possibile cacciare, i costi sono elevati (parlano di 15.000 € per il permesso più altri svariate cifre tra animali uccisi e tipologia di battuta scelta, compresa quella con elicotteri) ma pare che il Botswana sia un piccolo paradiso per questa malvagia forma di “sport”. Dopo giorni in cui per lavarsi occorreva ricorrere a salviette umidificate o ingegnosi sistemi con spruzzini vari qui ci sono enormi docce, peccato che l’acqua calda arrivi a fatica, e nonostante se ne trovino svariate occorre bagnarsi uno ad uno, quindi poco sollazzo e tanta fretta, ma meglio dei giorni precedenti. Ceniamo al ristorante del lodge, scelta quasi esclusivamente legata alla carne, al massimo accostata a una crema di formaggio insapore o a una zuppetta di funghi, quella invece ottima. Carni tutte deliziose, dalla canonica T-bone di manzo allo spezzatino di orice. Il campeggio è totalmente al buio, per rientrare senza una torcia si vaga nel bush a caso, uniche indicazioni le caldaie a legna per le docce, che essendo esterne mandano un bagliore che si nota da lontano, ma quale sarà quella nelle vicinanze della propria piazzola? Temperatura sullo 0°, vista la notte precedente, perfino buona. Percorsi 290 km, passando da un sentiero terribile ad un buon asfalto.    

 

Una coppia di orici

 

9° giorno

Facciamo colazione in autonomia presso lo spiazzo delle tende, poi dopo aver sostituito una gomma partiamo per Ghanzi, la città che funge da capitale del Kalahari, parecchio distante da Kang ma collegata lungo una ottima strada. Arrivati in città facciamo tappa prima da un gommista e poi ad uno dei tanti supermarket presenti in città, saremo nel mezzo del deserto ma pare di esser in piazza di qualsiasi grande città, negozi, bar, banche, insomma quanto serve e anche di più qui c’è. Facciamo bene i conti di quanti giorni dovremo gestirci in totale autonomia nel futuro e poi passiamo agli acquisti, compresa la legna per il fuoco serale, fino ad ora negato. Per guadagnare tempo ci compriamo qualcosa per pranzo al banco del market, non par vero di pranzare con qualcosa di caldo ed evitare i soliti insaccati/formaggi, con 25/30 p si prende sia un prodotto salato che uno dolce. Le taniche di acqua al solito sono i prodotti più ingombranti e più delicati perché sbattendo possono rompersi, quindi massima accortezza nel riporli, da qui usciamo dalla città per raggiungere il G. Trail Blazers camp dove faremo tappa e dove andremo a fare un’escursione a piedi nel bush accompagni da alcuni boscimani. Al camp non dobbiamo montarci le tende, ci sono le tipiche capanne boscimani che assomigliano a igloo ma costituite da sterpi a ricoprirle in ogni parte, questo sistema di coambientazione naturale aiuta nelle fredde notti invernali come in quelle torride estive. All’interno spazio per due letti veri e propri e nulla in più, come in tenda serve avere a disposizione una torcia. L’escursione nel bush è abbastanza carnevalesca, la famigliola boscimane non è propriamente credibile se non nell’anziana matriarca, diciamo che almeno ci si è potuti finalmente muovere. Da qui si può proseguire l’escursione a una della poche rivendite autoctone in città, il Gantsi Craft, fondato e gestito da una cooperativa di San, ma le info sullo stato della popolazione del luogo latitano, pare quasi che a fronte della possibilità di esporre e vendere i loro artefatti abbiano dovuto soprassedere nel portar avanti le proprie rivendicazioni sulla terra e soprattutto sull’utilizzo dell’acqua, fonte primaria di sopravvivenza ma fondamentale per le lavorazioni nelle miniere di diamanti (da qui la ricchezza del Botswana) e per il ricco flusso turistico (all’insegna del alto costo-basso impatto). Qui si potrebbe rifare un’altra visita a una comunità San, io preferisco rientrare al camp per un po’ di relax, incontrando finalmente altri viandanti con cui far due chiacchiere su cosa han visto e cosa dovranno vedere. Il gruppo in cui mi imbatto si muove su di un enorme camion che all’occorrenza diventa persino una sorta di spartana camerata, il gruppo è costituito da gente di tutto il mondo, e in tre settimane vanno dalla Namibia al Malawi, ritmi forsennati quindi. Ovviamente la gestione è tutta in mano a una organizzazione del Sud Africa, come del resto la nostra, e come più o meno tutti i noleggi di jeep incontrati lungo il viaggio, la dominanza su tutti gli stati limitrofi è evidente. Fantastiche docce calde sono a disposizione separate le une dalle altre da divisori fatti di rami o sterpi, ma finalmente una doccia vera e propria. Cena al ristorante del camp, buffet a volontà, dove oltre alla solita t-bone steak è possibile recuperare insalate di vario tipo per finire con un caffè che se ne esce da una fumante caffettiera. Durante lo spettacolo boscimane compreso nel kit del camp, scambio qualche chiacchiera con la guida che gestisce i boscimani locali, ed effettivamente mi conferma che vivono in città, a turno vengono ingaggiati per queste carnevalate, e a parte l’anziana signora vista nel pomeriggio che vive ancora secondo i dettami tradizionali, gli altri lo fanno come “secondo lavoro”. La guida comprende perfettamente il mio disinteresse allo spettacolo, poi grazie al fatto che parla un po’ di castigliano come una ragazza tedesca e una spagnola anche loro poco propense a sorbirsi la rappresentazione, finiamo per intervistarlo e recuperare innumerevoli info a proposito di questa popolazione. Uno degli attori al momento impegnato davanti al pubblico del “primo mondo” la mattina dopo lo potremmo incontrare alla cassa di uno dei market in città, giusto per dirne qualcuna, ma tante info sulle rivendicazioni del popolo San mi sono arrivate da questa serata. Temperatura decisamente più elevata nella notte e nessun pericolo di incontrare predatori nei dintorni della capanna, percorsi 250 km, tutti su asfalto.

 

Un gruppo di Boscimani (San)

 

10° giorno

Colazione da campo, partenza con direzione Central Kalahari Game Resort, la prima parte della strada è buona e così si procede spediti, poi gli ultimi 70 km cambiano e diventano pessimi rallentando l’arrivo nel cuore del deserto del Botswana. Lo scenario però non è particolarmente bello, solita savana coperta da sterpi, animali pochi anche perché di giorno qui le temperature si alzano e anche gli erbivori sono meno propensi a muoversi. Arriviamo all’entrata di Xade, dove contrattiamo una notte di permanenza in più di quanto fissato in precedenza, operazione non problematica ma lunga, con qualche variazione sulle piazzole di sosta, visto che nessuno par arrivare nei paraggi per la prima notte ci lasciano stare in quella adiacente all’ingresso dove sorgono anche i servizi, acqua calda nelle docce ma mancanza di illuminazione elettrica. Pranzato come al solito, predisponiamo il campo per partire nel tardo pomeriggio per un game drive che come al solito porta a vedere erbivori, tra cui spiccano enormi kudu ma nessun predatore, nonostante ci venga detto di fare particolare attenzione, e di non spostarci di notte, il solo tragitto tende-servizi che pare banale deve esser fatto possibilmente in gruppo e con più torce. Oltre agli animali ci han fatto osservare enormi nidi sugli alberi, si tratta di nidi collettivi usati di volta in volta da più specie di uccelli, un'abitudine del luogo che in alcuni momenti presenta condizioni di vita particolarmente dure (estate, caldo estremo e piogge torrenziali, con umidità impossibile e vie non sempre percorribili). Dopo una doccia calda inattesa è tempo per preparare la cena, la temperatura ci permette di allungare un po’ i tempi e anche di starcene finalmente attorno al fuoco alimentato dalla legna comprata in precedenza. Unica annotazione, appena si guarda il presunto vuoto del deserto ci si accorge di esser osservati da svariati animali, occhi che brillano come le stelle in cielo. E così il tragitto per i servizi dove lavare le stoviglie diventa qualcosa da affrontare con inquietudini varie, ma che il luogo di notte sia vissuto lo si riscontra da strusciamenti vari di bestie sulle tende e da ribaltamenti di sedie attorno al tavolo. Finalmente una notte non gelida in tenda contrappuntata da presenze animalesche nel vicinato… Percorsi 200 km.

 

continua...

 

Il Deserto del Kalahari - I

 

BLOGGER

Luca

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