menu:
cerca sul sito:
seguici su:
menu:
cerca sul sito:
seguici su:
Giovedì
Ritrovo alle 18:00 a Bologna, bel tempo, dal casello autostradale di Casalecchio di Reno A1 verso Firenze Scandicci, col nuovo tratto della direttissima buona parte in galleria, il tempo pare reggere. C’è coda nel tratto tra Barberino e Firenze Nord, ma tutto sommato nessun problema in questi primi 94 km. Da qui imbocchiamo la SGC FI-PI-LI, sorta di autostrada a due corsie senza pedaggio e piena di autovelox con limite ai 90 km/h. Il clima cambia repentinamente, entrati in provincia di Pisa si fa tutto coperto e, passato lo svincolo di Pontedera, un acquazzone ci sorprende prima della meta. Sosta in un’area di servizio, così ne approfittiamo per cenare, o meglio ingurgitare un panino trovando già presente un altro gruppo di motociclisti, anche loro in attesa che spiova. Dopo una mezz’ora la situazione migliora, tanto che dopo pochi chilometri la strada nemmeno presenta più acqua sul manto stradale, così giungiamo comodamente a Livorno nei paraggi dell’imbarco Moby, poco prima si trovano due distributori di carburante. Grazie ad uno di noi, sardo di origine anche se non più residente ma possessore di abitazione, possiamo prenotare una cabina con prezzo dedicato, mentre per i biglietti della traversata, due di noi li avevamo già acquistati on-line, altri due li acquistano al momento, nulla cambia, 98 € a persona per moto sopra i 200cc. Acquistandoli in rete, la registrazione su Sardegna Sicura si può farla in seguito, acquistandoli alla biglietteria occorre presentarsi con la registrazione già effettuata. All’imbarco non c’è nessuno se non quattro ciclisti, pratiche ovviamente veloci, con misurazione della temperatura prima di salire a bordo, dove nel primo ponte ci sono alcuni camion, in quelli superiori a parte i ciclisti e una trentina di moto, praticamente nessuno. Preso possesso in maniera volante della cabina, giusto il tempo per salutare la terra ferma dal ponte superiore, poi una doccia calda nel pratico bagno della cuccetta e tempo di dormire, a fatica ci si accorge di essere in navigazione.
Chiesa della Santissima Trinità di Saccargia
Venerdì
Dopo una notte tranquilla (9:15 di traversata, ma eravamo veramente in mare?), gli altoparlanti in largo anticipo chiamano a colazione, evitandola a bordo ci prepariamo a riprendere le moto ed uscire, pratica immediata poiché col vuoto della stiva non ci mettiamo nulla a espletare l’operazione. Appena usciti, sosta per colazione parcheggiando le moto a spinta nella parte pedonale. E poi si parte, con cambiamento di programma: avremmo dovuto andare prima a sud e dopo risalire da ovest, le previsioni del tempo ci consigliano il percorso inverso, quindi via verso Tempo Pausania che raggiungiamo evitando le vie principali ma attraversando alcuni piccoli ma caratteristici paesini come Telti, con case che danno direttamente sulla via principale. Il clima è buono, il sole c’è ed è già un successo, giungiamo dopo 50 km al parco termale Rinaggiu di Tempio per la prima sosta, lì il sole tende a nascondersi e l’idea di rinfrescarsi nel parco perde parte del suo senso. Proseguiamo per la SS672 con destinazione chiesa della Santissima Trinità di Saccargia, che sorge in una valle tra calanchi e svetta solitaria ammantando il panorama di bianco e nero, i colori delle pietre che la contraddistinguono. Il complesso del XII secolo è visitabile con biglietto nonostante alcuni lavori di restauro all’interno. Da qui proseguiamo per Sassari che raggiungiamo lungo un percorso panoramico che passa da Muros, prima della serpentina che risale la collina e ci porta nel centro della cittadina. Proviamo a intrufolarci nei vicoli ma evitiamo una sosta, decidiamo di proseguire poiché il clima pare reggere fino a Stintino, altri 45 km in zona brulla col vento che inizia a farla da padrona seguendo le strade SS131, SP57 e 34. Attraversato il piccolo paese continuiamo per la celebre spiaggia La Pelosa e Capo Falcone, e qui dopo aver udito per anni descrizioni mirabolanti, rimango fortemente deluso del luogo. La “gentifricazione” è totale, la spiaggia niente di che, la vista sull’Asinara non male, ma in giro per il mondo di luoghi molto più affascinanti ne ho visti tantissimi, immersi nella sola natura incontaminata, non come qui, costruito malamente in ogni dove. Anche da Capo Falcone cambia poco, anzi, forse pure peggio, così col clima che vira al nuvoloso iniziamo a scendere verso Alghero, la città del corallo rosso. Procediamo per la via costiera alternando varie strade per raggiungere il capoluogo dopo 57 km e fare tappa. Parcheggiate le moto in piazza Sulis a ridosso della torre, facciamo una passeggiata per il centro con prima una sosta per cibo da strada. Giriamo Alghero visitando la chiesa di San Francesco dove un’addetta ci illustra ogni particolare e da lì proseguiamo sul bastione da dove la vista sulla città ha il suo massimo splendore, Percorriamo il bastione con un vento sempre più forte alla Torre San Giacomo e di nuovo alla Torre di Sulis o de l’Esperò Real. Il nome, tipicamente catalano, non è un caso, questa parte della Sardegna ha avuto una forte dominazione spagnola, ancora oggi gli abitanti parlano un idioma che molto deve al catalano (lo si scorge anche dal nome delle vie), riconosciuto come linguaggio vero e proprio e non solo dialetto. Tempo di ripartire, si preannunciano strade splendide da percorrere in moto, destinazione Bosa, antica e prestigiosa sede vescovile. La strada ovviamente è la litoranea 105 che diviene 49, sale e scende a mo’ di pista lungo la costa, se la strada da percorrere è perfetta, il panorama invece non incanta, molta macchia mediterranea, poche rocce o promontori a picco sul mare, meglio una visita a Bosa, col castello Malaspina dominante e le case colorate sulla montagna. La cittadina di adagia sul fiume Temo, nel versante sud svettano i vecchi magazzini, da qui si gode la vista migliore. Si riparte, meta finale Oristano, che raggiungiamo passando da Tresnuraghes, Cuglieri e S’Archittu dove facciamo tappa al promontorio sul mare in cui svetta Turre de su Puta, un nuraghe che pare una sorta di faro, facile da raggiungere a piedi e da cui la vista spazia per chilometri e chilometri a nord e sud. Oristano non dista molto, il tratto da Bosa è di 64 km. Per cena andiamo a piedi in centro storico trovandolo totalmente vuoto, eppure è venerdì sera. Scegliamo un ristorante non imbarazzatamente vuoto, ma in una grande sala ci saranno comunque altri due tavoli occupati, mangiamo prevalentemente primi piatti con un assaggio di quattro portate, tra cui i calurgiones di cui nemmeno conoscevo l’esistenza, occorre tempo per le ordinazioni, ma i prodotti sono freschi e di qualità. Un giro per il centro storico deserto tra la Torre di Mariano e il duomo, rientriamo a riposarci, mentre il cielo nasconde le stelle, l’indomani sarà a rischio pioggia.
Bastione Marco Polo, Alghero
Sabato
Testata la temperatura per accedere alla lauta colazione, approfittiamo del buffet servito, dopo una notte che ha rovesciato pioggia con vento forte. Strada bagnata e qualche tenue goccia di pioggia, le tute da acqua dopo poco diventano superflue, anzi, fanno caldo lungo la SP49 che conduce ad Arborea e a seguire la dritta S126 che presa a Terralba conduce a Guspini. Qui è tempo di salire, continuiamo lungo la SS126 verso Arbus e da lì c’immergiamo tra le montagne fino a Fluminimaggiore (circa 80 km) che si attraversa tra piccole viuzze. Siamo già nel “celebre” Sulcis, zona mineraria ora non più attiva, dove più miniere son divenute musei, ma la nostra meta si trova poco oltre, circa 11 km, ovvero Tempio di Antas-Sardus Pater. Ingresso 4€, possibilità di vedere tutta l’area archeologica, noi ci accontentiamo del tempio, raggiungibile in 5’ a piedi dalla biglietteria. Il tempio romano sorge nella necropoli nuragica, della quale fanno parte i pochi resti del tempio punico, tombe risalenti a due periodi distinti dell’insediamento e la parte (evidentemente ricostruita) del tempio romano, le cui colonne rivolte a est danno ancora bella presenza di sé. Rientriamo verso Fluminimaggiore, oltrepassata la quale imbocchiamo la SP83 destinazione mare. L’impervia costa sferzata dal vento che ci accoglie con la lunga spiaggia e la montagna che sale verso Buggerru, pare una vista da fine del mondo in queste condizioni, ma con un fascino forte, un mare agitatissimo che non si ferma prima di Palma di Maiorca. Bella la strada, belle le viste, peccato solo che il clima sia profondamente autunnale, ma poco male, anche così la vista non è male, si nota dalle numerose soste. Il meglio la strada lo offre tra le gole che ci portano a Masua, da dove una strada secondaria scende a mare sormontando la miniera fino alla spiaggia di fronte a quello che gli indigeni chiamano Pan di Zucchero, il grande scoglio denominato Concali su Terrainu. Con un clima “amico” nella limitata spiaggia stazionare immagino non sia così male, come poter raggiungere il Pan di Zucchero pure in pedalò, ma noi abbiamo altre mete e riprendiamo il cammino per Carbonia, una volta lasciata la SP83 la strada è anonima. Nel capoluogo visita d’obbligo alla gigantesca miniera di Serbariu che ci accoglie con portoni aperti, nessun addetto e con un fascino da visione post industriale notevole, tanto che le foto non mancano tra vecchie torri, carrelli per il carbone, macchinari consunti da vento, polvere e pioggia, unica nota, non c’è proprio nessuno e il Museo del Carbone pare dismesso così come la miniera. La cittadina, costruita in tutta fretta negli anni ’20 della corsa al carbone, merita una visita per notarne la sua costruzione e la piazza Roma, che identifica anche al più ignaro dei passanti il suo passato. Decidiamo di sfidare il clima e spingerci ancora più a ovest, ovvero nel promontorio di Sant’Antioco che si raggiunge sul ramo di terra largo giusto lo spazio della strada ad unirlo all’isola. Alle 15 quando arriviamo nell’omonimo paese pare disabitato, sia il centro, sia la parte sul lungomare, troviamo giusto un bar che serve ancora qualche piatto freddo. Un’insalata di tonno riusciamo a recuperarla, acqua e caffè non prima che un acquazzone la faccia da padrone costringendo a farci migrare da un posto all’aperto a uno sotto la tettoia che scopriamo non ricoperta, piove pure qui, unica opzione starsene a filo muro, all’interno impossibile perché le proprietarie chiudono e salutano. Ripartiamo quando la pioggia termina, le strade però sono ricoperte di acqua, tuta da pioggia di nuovo in funzione, destinazione a sud prendendo la SS195 e a seguire le tante numerazioni differenti che portano sulla costa verso Chia. Pian piano il sole torna padrone della giornata, lo scenario si rivela grandioso, la costa verso Capo Malfatano spettacolare, e qui le soste per foto si sprecano, la SP71 da Capo Teulada a Chia rimane per me la strada a maggior impatto percorsa in tutto il viaggio. Il tempo passa, dobbiamo raggiungere Cagliari, ancora una sosta a Santa Margherita di Pula per visionare dall’esterno il possedimento dell’organizzatore di questo viaggio e subito via nel capoluogo a cui giungiamo attraversando il mare sulla SS195 sulcitana. Cagliari ci accoglie per un tramonto colorato, cosa di meglio che gustarcelo dalla cima di Monte Urpino? Da qui si vede un po’ tutto, dalla sella del diavolo che scende al Poetto (quell’area che chiamano la Copacabana sarda) allo stagno di Molentargius dove si abbeverano i fenicotteri, oppure cambiando area, la città col castello arrossato dal tramonto. A questo punto è tempo di riporre le moto nel parcheggio dell’hotel da dove, una volta spremuta al suo massimo una doccia rigeneratrice, ripartiamo in taxi per il centro cittadino, facendoci portare al castello, non la zona dove cenare ma da dove rimirare in notturna la città. Anche il quartiere al suo interno merita due passi, a dire il vero piuttosto solitari, tra vie minute con abitazioni di ogni tipo, dalla stamberga alla villa patrizia, arriviamo all’imponente bastione di Saint Remy e da lì scendendo la movida è padrona della città. Evitiamo un ristorante al chiuso, in piazza San Sepolcro ci sono più posti per i calurgiones al forno e un assaggio di porceddu che si rivela più osso che sostanza. Un giro tra le vie della movida dove con le nostre mascherine saremo scambiati per extra terresti, poi desistiamo sia al giro notturno sia all’idea di rientrare a piedi, saranno solo 3,7 km ma un taxi preso al volo ci velocizza il tutto. Percorsi circa 360 km in moto.
Il nuraghe di Turre de su Puta
continua...
BLOGGER
Luca