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11° giorno
Ultima colazione a tutto gas, poi dopo aver fatto il check-in del biglietto aereo di ritorno stampandolo in hotel partiamo per Paldiski. Immagino che tutti conoscano questa celebre cittadina di mare… nota solo in seguito all’indipendenza per aver ospitato il “Pentagono Atomico Sovietico” come base appunto dei sottomarini nucleari. Ora di tutto questo c’è ben poca traccia, il Pentagon come era chiamato è crollato e nessuno ad oggi ha ancora pensato di ristrutturarlo, anche se potrebbe divenire un’attrazione turistica. Nell’estrema punta del promontorio qualche casamatta decadente e isolata si vede ancora, ma per farsi un’idea migliore serve salire sul faro Pakri tuletorn dalla cui vetta oltre ad ammirare le alte scogliere a precipizio sul Baltico si può provare a identificare i resti delle caserme nel mezzo del bosco. Le scogliere in ogni caso restano un bello spettacolo anche in questa mattinata che fatica a rivelarsi, con la nostra Dacia prendiamo improvvisati viottoli che ci conducono verso bunker e caserme, di un bunker troviamo pure l’accesso sotterraneo che percorriamo per arrivare al vano principale dove salire alla torre principale. Tutto sta cadendo a pezzi, le scale in alcuni tratti mancano e dobbiamo desistere, entriamo invece nel complesso di caserme non lontano dove svetta pure un prezioso mosaico artistico, che guerra fosse, ma mai rinunciare all’arte! Lungo la costa le costruzioni sono anche in condizioni peggiori se possibile, ma un po’ per lo scenario e un po’ perché il sole ha fatto capolino la vista è proprio bella. Altro da vedere non c’è, occorre immaginarselo, proviamo a chiedere del Pentagon in città dove sarà un caso ma tutti parlano russo, dopo svariati tentativi oltre a comprendere che non esiste più, un ceffo poco raccomandabile con due cani ancora meno raccomandabili ci spiega appunto che l’incuria l’ha reso insicuro e che le autorità hanno scelto di abbatterlo. Prendiamo la via del sud con tappa a Padise dove sorge una caratteristica abbazia del 1300 ed è bello perdersi tra scale, ampie navate, sottotetto, gallerie e così via, stranamente è consentito andare ovunque, peccato solo che i tetti siano protetti da anonime lastre di lamiera. Da qui tagliamo tra i boschi verso Risti, all’uscita a fianco di un distributore di benzina (bianco diremmo ora da noi, di quelli non di marca) sorge una casupola dove un’anziana signora fa da tavola calda. Stop nel nulla, non parliamo lingue compatibili, ma a gesti ci intendiamo per uno spuntino perfino eccessivo e attendendo che un tornado passi programmiamo l’escursione insulare che ci attende poco più a sud. Ci aspettano all’isola di Kihnu, piccola ma particolare, autoctona mi verrebbe da dire, per arrivarci ci imbarchiamo a Munalaiu sihi ülemine tulepaak dove arriviamo con oltre un’ora di anticipo, anticipo che non serve a nulla giacché c’è pochissima gente, l’ufficio biglietteria è aperto (e dotato di splendidi servizi igienici, wi-fi ma nessun altro servizio tipo ristoro, info) ma non la biglietteria. Per quella va atteso l’addetto che giunge col traghetto dall’isola (15€ x auto, 4€ x persona), ovviamente le procedure per imbarcarsi ridotte al minimo, la giornata si è posta sul bel tempo e le viste sia dalla terra sia in seguito dal traghetto sono spettacolari. Sul traghetto si può stazionare sia nei ponti di prua e poppa che all’interno, ogni servizio è a disposizione nei 60’ di navigazione, compreso il wi-fi ovviamente gratuito e non protetto. Quando sbarchiamo ad attenderci c’è Mare Mätas, la guida ufficiale di questa isola, dichiarata dall’Unesco nel 2003 capolavoro del patrimonio orale e immateriale dell’umanità. Raggiungiamo velocemente la grande casa per gli ospiti che ci ospiterà per la notte, Mare ci illustra un po’ tutto quello che c’è sull’isola e cosa rappresenta, ma nei dettagli ci entreremo l’indomani quando ci farà da guida. Tra i suoi consigli per la serata ci sono quelli di cenare prima possibile in uno dei due ristoranti dell’isola perché se non ci sono avventori chiudono e di goderci il tramonto dal faro posto nel punto più a sud, Kihnu tuletorn. Prima di seguire i suoi dettami vaghiamo per l’isola (7x4km, qualche strada asfaltata da nord a sud, poche da est a ovest) che ci appare proprio bella e in seguito tappa al ristorante. In effetti siamo gli unici avventori (seguirà giusto una coppia in moto che aveva traghettato con noi), ceniamo abbondantemente e molto bene, c’è pure il wi-fi, cosa che nell’isola non sempre s’incontra. E ora subito al faro per il tramonto, che ha un suo perché. Tra i cigni che attorniano la zona, le rocce che sembrano disposte da un maestro giardiniere zen, il grande faro a dominare l’orizzonte che il sole dipinge di mille tonalità grazie pure a un accenno di nuvole, par di stare nella tavolozza di un pittore invece che in un angolo di natura poco contaminato. Quando il sole si nasconde la luce abbandona Kihnu, rientriamo alla nostra grande casa dotata di 4 camere, salone comune, bagno e dependance dove siamo gli unici ospiti, ci assopiamo nel silenzio totale di questo verde giardino dopo aver percorso 251 km su strade in buono stato, oltre a quelli in nave, sui 15.
Il faro di Paldiski, dove una volta stazionavano i sottomarini nucleari sovietici, Estonia
12° giorno
Colazione rurale nella dependance con api a farla da padrona, alle 9 in punto Mare ci raggiunge per iniziare il tour guidato dell’isola. Di per se non sarebbe così fondamentale usufruire di una guida per girarsi un’isoletta da 7x4 ma la cultura e le tradizioni sono l’aspetto principale di Kihnu e per quello è fondamentale una guida. Gli aspetti che caratterizzano questo luogo sono noti ai più per definirla l’isola delle donne visto che la popolazione maschile è sempre alle prese con la pesca, donne che governano Kihnu nei loro tradizionali capi, su tutti una lunga gonna a righe bianche e rosa di aspetti floreali rivestita. Donne che scorrazzano in lungo e in largo a bordo di vecchi e scassati sidecar, tutti aspetti che ne fanno un luogo interessante per immergersi nell’antica cultura estone, ma che in realtà non è una quotidianità attuale. La pesca si è fatta sempre più tecnologica, gli uomini passano sempre meno tempo in mare e le donne non usano più gli scassati sidecar ma moderni suv o jeep. Per immergerci nella storia facciamo tappa al Kihnu Museeum, le descrizioni sono abbondanti, Mare aggiunge alcuni aspetti che però sono marginali. Tutto quanto rappresenti l’isola qui è descritto e proposto, assieme al suo personaggio simbolo, il capitano Kihnu Jõnn, il cui nome originale è Enn Uuetoa, di cui parlerò più tardi quando passeremo dalla tomba. In una magica giornata di sole, proprio fuori dal museo, interamente ricoperto di disegni di artisti dell’area e di spunti dei ragazzi, gira un’anziana di tutto punto agghindata, se l’abbia spedita a mostrarsi Mare o se sia di passaggio di sua iniziativa non c’è dato sapere, resta il fatto che sia l’unica a presentarsi così vestita. Giriamo un po’ in lungo e largo, ci vengono indicati posti più evocativi che reali, prendiamo così info sulla storia, quella che mi colpisce maggiormente è data dal fatto che d’inverno il collegamento con la terra ferma si svolge in auto, gli 11 km di distanza dai punti più ravvicinati sono coperti di ghiaccio talmente spesso che lo si può percorrere, unica accortezza, i pescatori pongono le reti sul ghiaccio per non slittare. Non rammentano nessuno che sia precipitato, o se avvenuto nessuno ha protestato o raccolto firme per bloccare il tutto come avviene da noi per qualsiasi cosa. Ritorniamo al faro, portato anni fa dall’Inghilterra, dove saliamo dopo aver pagato il biglietto alla figlia di Mare. La vista spazia su tutta l’isola e raggiunge la terraferma, il vento si fa sentire, una volta scesi su insistenza di Bosforo la ragazza si veste da tipica abitante dell’isola per recuperare foto del tempo che fu, originali quanto una moneta da 3€… Accompagnata a casa Mare nel suo garage fa bella mostra, per modo di dire, un sidecar purtroppo guasto. Non ne identifico la marca, mi dice che si tratta di roba scarsa dell’est, forse Bielorussia, di cui è ormai impossibile trovare ricambi idonei, e quindi non riusciamo ad usarlo. In garage svettano ancora due ritratti raffiguranti Lenin e Dostoevskij, come che il tempo si fosse fermato qualche decennio orsono, e dati i ritmi dell’isola non è poi un pensiero così remoto. Riprendiamo il tour con tappa alla tomba di Kihnu Jõnn, un sentiero non segnalato a dovere, fortuna che essendo l’unico monumento vero e proprio tutti sanno indicarlo. Il signor Enn solcò tra il secolo XIX ed il XX i mari in lungo e largo, nel suo ultimo viaggio prima di ritirarsi (facile dirlo a posteriori che sarebbe stato l’ultimo…) al largo della Danimarca fece naufragio e affogò, non affogò la sua leggenda tanto che la sua tomba fu trattenuta a lungo in Danimarca facendo ritorno a casa solo una volta ottenuta l’indipendenza dall’Estonia. Per non fare differenze tra le attività del posto, facciamo tappa per uno spuntino all'altro ristorante, con dehor esterno ma meno tradizionale del precedente, da qui passaggio a nord presso un attracco per piccole imbarcazioni tra canne e frasche, quindi un ultimo salto a sud fino al faro dove sosta ancora una coppia tedesca col loro piccolo figlio (avevano traghettato con noi il giorno prima) a bordo di un camper datato quanto Dostoevskij grazie al quale hanno potuto passare la notte qui in libertà e hanno steso i panni lavati dal faro alla base militare, ora è tempo di tornare all’imbarco. Il nostro tempo a Kihnu è terminato, l’imbarco come il giorno precedente è velocissimo, i costi i medesimi come i tempi, stessi servizi a bordo e una volta sbarcati prendiamo la via per Pärnu, la Rimini estone. Percorriamo strade nel bosco, ogni tanto una sosta per una foto a qualche campo da basket che sorge nei dintorni (già, perché questa è un’altra mania che condividiamo, in seguito in Lituania ne fotograferemo molti ma non tutti altrimenti occorrerebbero anni in quello stato per documentarli tutti…) e finalmente siamo a Pärnu in un tardo pomeriggio assolato. La celebre spiaggia non è proprio presa d’assalto anche se in città di movimento ce n'è, ci concediamo una breve sosta calpestando la sabbia, data la temperatura dell’acqua niente bagno, un campetto da basket sorge anche qui con cesto a fianco a una pubblicità di preservativi della stessa altezza, così si capisce meglio. La meta che ci siamo posti per la serata dista ancora parecchi kilometri, passiamo il confine con la Lettonia, questa volta almeno segnato, e puntiamo su C?sis affidandoci in toto al navigatore che come solito ci porta su strade battute da pochi ed in certi casi pure sterrate. Nel mezzo del nulla due ragazzini ci implorano (uno fa il gesto di preghiera) di caricarli, sono in ritardissimo per il rientro del più piccolo, li prendiamo a bordo per agevolare questi 6 km che a piedi sarebbero valsi una sonora sgridata. Arriviamo a destinazione prima che il sole tramonti per pochi minuti, le prime opzioni come sistemazioni sono tutte occupate, in una di queste ci dirottano presso l’hotel del figlio della gestrice (fa tutto un’inserviente, la proprietaria col suo russo fatica a spiegarsi a parte disegnare una mappa attendibile) appena fuori città, ottima struttura dove troviamo posto in due camere doppie. Visto l’orario e la probabile difficoltà a trovare un posto dove cenare optiamo per farlo direttamente in hotel, splendida sala con enorme vetrata con vista sul buio…dove un’addetta che sperava di aver già chiuso il lavoro quotidiano ci serve a un ritmo rilassato giusto per questa lunga giornata. Percorsi 245 km, su strade asfaltate e non, tutte in buone condizioni.
Tramonto al faro dell'Isola di Kihnu, Estonia
13° giorno
Colazione a buffet, meglio approfittarne, raggiungiamo in auto il centro della città per andare alla scoperta di questo paese, ritenuto il borgo più lettone della Lettonia. Il richiamo più noto è l’omonimo castello, ma apre alle 10 (anzi pure un po’ dopo) e quindi prima ci giriamo la città vecchia, caratterizzata da case di legno che pian piano vengono ristrutturate, come alcune viuzze al momento non percorribili. Proprio a causa di una deviazione incontriamo un canestro altamente spettacolare posto su di un garage in condizione “belliche”, chissà cosa penseranno gli abitanti che ci vedono intenti a fotografare questo rudere… Il centro, per quanto piccolo e dominato dall’imponente chiesa Sv?t? J??a bazn?ca merita una sosta, nel frattempo ha aperto il castello e acquistato il biglietto per la parte medioevale e per la torre entriamo al C?su orde?pils. Si può salire fino al tetto, per farlo occorre passare per strette e buie scale, all’ingresso un’addetta ci fornisce una vecchia lampada che più che illuminare fa effetto medioevo. Girato il complesso in lungo e largo praticamente da soli in quanto primi avventori di giornata, usciamo e prendiamo la strada verso sud-ovest per un lungo trasferimento. Come previsto ci sfianca il lentissimo attraversamento di Riga, ancora alle prese con i lavori stradali, passiamo per Jelgava attraversando il centro dove sorge lo spettacolare palazzo omonimo, ora Latvijas Lauksaimniec?bas universit?tes muzejs, che si affaccia sul fiume Lielupe. Breve sosta presso un Heesburger (catena stile McDonald’s ma molto meno globalizzato) più per scroccare il wi-fi gratuito e orizzontarci per alcune soste della prossima meta, il delta del fiume Nemunas in Lituania, ultimo lembo di terra tra l’enclave di Kaliningrad in Russia e la Penisola di Curlandia, divisa tra Lituania e Russia. Prima di raggiungerlo ci aspettano ancora svariati kilometri, una volta varcato il confine ed entrati in Lituania facciamo rifornimento presso un piccolo distributore. Poiché il self-service non funziona chiediamo info all’addetta, la quale parlando solo lituano e russo non sa come fare, ma chiama un gruppo di ragazzine di non più di 7 anni che traducono in inglese quanto lei ci deve dire. Tra Varkaliai e Mardosai non devono essere così numerosi gli strangers alla pompa di benzina e per le ragazzine siamo la curiosità di giornata, ci chiedono se siamo estoni, che per loro è già un grande viaggiare, quando appurano che veniamo dall’Italia rimangono sbalordite come venissimo da Marte. Dopo aver oltrepassato strade di ogni tipo, sovente sterrate, visti canestri presso ogni singola abitazione, a volte utilizzati pure per stendere i panni, entriamo nel Nemuno deltos regioninis parkas, terra a metà tra isole, paludi, acqua e mare, canali e ponti, la differenza dei più celebri delta in giro per il mondo è data dal verde dominate ovunque, qui le piogge sono costanti per molti mesi l’anno. Entriamo da Kintai per attraversare Muiž?, Šturmai per giungere infine a Venté, dove la terra finisce. Qui parcheggiata l’auto si parte per un sentiero da anello, dalla prima torre di avvistamento si può vedere di fronte la stretta striscia di terra e sabbia della Penisola di Curlandia, una vista che abbaglia tra il blu dell’acqua e quello del cielo. Nel punto più estremo di questa riserva faunistica (ci sono gigantesche reti per recuperare volatiti di ogni tipo, classificarli, seguirli e nel caso medicarli) sorge il Vent?s rago švyturys, faro e museo da dove rimirarsi un nuovo orizzonte incontaminato. Una passerella di mattoni in non più perfetto stato porta su di un’isoletta naturale dove a suo tempo sorse un castello teutonico (del 1300), in un secondo tempo (siamo già nel 1700) una chiesa, ma tutte queste costruzioni furono spazzate vie dalle bufere. Ora si può approfittare di quest’ultimo lembo di terra per godere una vista strepitosa della terra ferma e della penisola. Ci spingiamo a Minija (lato ovest), un villaggio contraddistinto da belle case sul canale omonimo usato a mo’ di via. Le case di legno e bei colori fanno da attrattiva, per avere una foto più caratteristica sarebbe meglio attraversare il canale, cosa fattibile solo con barca ma non con traghetto pubblico, qui tutti hanno la loro barca, a cosa servirebbe il traghetto? Scegliamo visitare l’altra metà il giorno seguente, ora cerchiamo un giaciglio per la notte, ma da questa parti poco si trova, ci giriamo i minuscoli villaggi e nulla, tra valli e canali sorge un hotel che però è tutto esaurito. Ci consigliano una struttura a loro collegata, ci spiegano nel dettaglio il percorso senza darci il nome, dicono che quando arriveremo quello c’è e non si può sbagliare. Girando per strade sterrate ritorniamo a Minija, ma questa volta lato est per trovare una sistemazione, da segnalare che il luogo (come gli altri della zona) ha più possibilità di nome, Minija, Mingès o Minge, tra lingua lituana ma pure lietuvinkai, un dialetto del delta che è parlato tra i pochi autoctoni. Dato un tramonto spettacolare aspettiamo prima di andare a cena, ci godiamo la parte est del villaggio con alcune abitazioni sul canale dai soliti colori intensi, il piccolo porticciolo e un ponte che conduce da un’isola senza uscita (senso? Chiesto ai proprietari l’indomani anche loro non hanno risposta). Ceniamo al ristorante di fronte all’abitazione, unica struttura attiva del villaggio a parte le zanzare quelle sì super attive, che fa sempre parte della stessa proprietà del posto dove alloggiamo, prezzi irrisori a fronte di buona qualità e servizio adeguato al dolce far nulla. Percorsi 421 km, su strade di ogni tipo.
Cielo e mare si fondono nel delta del fiume Nemunas, Lituania
continua...
BLOGGER
Luca