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17° giorno
Prevedendo che per la festività del primo dì dell’anno tutto fosse chiuso, mi ero mosso in anticipo acquistando per colazione paste e croissant accompagnandole col caffè dell’ostello. Anche gli orari dei bus sono diversi, mi era stato detto della partenza per Puntarenas alle 9, in realtà saranno le 9:30, biglietto acquistabile direttamente dal conduttore. Giornata splendida, i pochi turisti presenti scendono nei dintorni di Llanos de Cortés, una delle cascate più note del paese. Puntarenas è una delle città più grandi della costa, porto e punto di partenza per raggiungere la Peninsula de Nicoya con traghetto, si raggiunge lasciando la Panamericana ed entrando in una specie di cuneo terrestre intensamente gentrificato, come avviene in ogni luogo del mondo in corrispondenza di porti importanti. Non c’è una stazione dei bus, ogni compagnia ferma al suo piccolo terminal, spesso un ufficio sulla strada con bus parcheggiati in zona, nel migliore dei casi una sala d’attesa. Ho 30’ di tempo, faccio un giro sull’avenida 4, il lungo mare è pieno di baracchini che vendono di tutto, compresi ottimi spiedini di carne a fianco di una serie di ristoranti senza fine. Di fronte il Golfo di Nicoya ma qui i più sono alle prese col cibo e non col mare, forse anche per via dell’orario. Bus in partenza in perfetto orario per Jacó, biglietto acquistabile in biglietteria con posto assegnato, bus dotato di wi-fi. Lungo il cammino oltrepassiamo il ponte sul Rio Tárcoles, celebre per la presenza di giganteschi coccodrilli, e in effetti sui marciapiedi a fianco del ponte c’è una certa ressa, così come in ogni dove lungo la statale, sarà il giorno festivo ma pare proprio che l’intero Costa Rica sia da queste parti. E così sarà appunto a Jacó, l’avevo scelta come base per un’escursione nei dintorni senza rendermi conto di arrivare nella Rimini locale. Percorrere la via principale, saranno nemmeno 2 km, per il bus è impresa complessa, scendo alla fermata centrale (non c’è autostazione) e cerco un alloggio trovando varie difficoltà, tutto esaurito per questa notte, posto per la seguente. Finalmente trovo una sistemazione presso un ostello, frequentatissimo nel mezzo di una stradina che porta al mare. Così faccio pure io un salto lì, imbattendomi in una grandissima spiaggia, una specie di gigantesco ferro di cavallo tra 2 promontori. Onde sì, ma affrontabili, questo il richiamo sia per i surfisti sia per i tanti che vanno al mare con cibo, tanto cibo e musica, magari sparandola fuori da casse supplementari portate fin lì in auto. Un buon batido e poi mi godo un tramonto che definire da cartolina è perfino minimizzarlo e svilirlo. Un giallo-rosso fuoco che impressiona tra onde, surfisti di rientro con tavola in controluce e gente numerosissima a scattare foto a non finire. Tramonto che scappa via verso le 17:30, alle 18 è già tutto buio e la folla si riversa per le vie del centro, ristoranti di ogni tipo, negozi di souvenir che spuntano ovunque, la vita brulica e anche le iguane che tagliano incredule la strada principale paiono allarmate. Dopo l’esperienza della doccia fredda, anche se non freddissima, nel gigantesco bagno nella camera da 8 (ma al 2° piano c’è un numero elevato di docce e bagni) tempo per esplorazione serale della cittadina con cena in una soda, non facile trovarne nella parte a sud del fiume, molto più turistica. Ne trovo una proprio nelle vicinanze del fiume, non ha nome ma è molto frequentata, non il massimo ma evito catene internazionali o ristoranti etnici (che magari sono francesi o italiani da queste parti…) con qualità accettabile. Non hanno però caffè, così faccio tappa altrove prima di rientrare in ostello e finire la serata tra sdraio e amaca, che si libera quando immagino i più escano per far serata.
Tramonto in spiaggia a Jaco
18° giorno
Ore 7:30 città deserta, le notti lunghe dei tanti presenti si vedono anche da questi aspetti, colazione in bakery poi faccio un salto a vedere la grande spiaggia di mattina, un blu senza fine attorniato solo dai due promontori verdissimi. Ma non è questa la meta di giornata, alle 9 prendo il bus verso Puntarenas per recarmi al Parco Nazionale Carara. Avevo intravisto l’ingresso il giorno precedente arrivando, spiego al conducente dove voglio scendere e gli chiedo di indicarmelo, probabile che fraintenda per via del prezzo irrisorio che chiede, infatti non si ferma, scorgo l’ingresso, lo avviso e inchioda in piena Panamericana. 500 metri di strada in più poco male, entro all’ingresso principale, niente mappa, se ne trova una grande e dettagliata impressa sotto alla biglietteria da fotografare. Da qui si prende il sentiero costituito da più anelli, per non sbagliare basta tenere sempre la sinistra a tutti i bivi, così si fanno tutti i passaggi e si rientra alla base. La prima parte si sviluppa lungo un sentiero su cemento aperto anche ai disabili, poi ci s’inoltra nella foresta e passo dopo passo le fronde degli alberi, radici e rampicanti sono sempre più folti, avifauna sempre ben presente ma difficile da identificare e scrutare, incontro qualche coati che ormai sono animali domestici per me e pure qualche pizote, per nulla timorosi, seguono i loro “sentieri dei canti” disinteressandosi della presenza umana se questa non diviene invasiva. Percorro i vari sentieri (Accesso, Encuentro, Quebrada Bonita e Araceas) che in tutto misurano 2,5 km, praticamente tutto in piano, nessun fatica, nella foresta temperatura ottima perché il sole non penetra mai. Uscito da qui, proprio nei dintorni della biglietteria c’è un convivio d’iguane, un numero spropositato, tutte intente nel crogiolarsi al sole. La seconda parte del parco si trova a circa 2 km da qui a nord seguendo la statale, mancante di marciapiede e molto trafficata, non ideale da fare a piedi ma alternative non ne ho. Il settore Quebrada Meandrica lo si localizza a fatica, un inserviente nascosto in una specie di capanna a sua volta nascosta nemmeno mi controlla il biglietto, un sentiero nel pieno della foresta raggiunge una piccola laguna che al momento non ha presenza di coccodrilli, il richiamo del posto. Tra andate e ritorno si percorrono 4 km, non impegnativi, occorre aggirare qualche grande albero abbattuto sul sentiero, ma niente fango, buona cosa. Ritrovata l’uscita, mi spingo al ponte sul Rio Tárcoles per il richiamo del posto, i giganteschi coccodrilli americani che qui stazionano. Arrivarono tanti anni fa seguendo la corrente, hanno trovato una sistemazione ideale e non si spostano mai da qui, luogo dove si possono ammirare da vicino ma in totale sicurezza, attenti giusto all’intenso traffico sul ponte, ma un marciapiede fa da isola. Numerosissimi e placidi, quelli intenti ad asciugarsi spalancando la gigantesca bocca incutono paura nonostante non potranno mai arrivare al ponte, alcuni uccelli di fiume li accompagnano senza nessun timore. Mi narrano che nessuno ha mai avuto problemi con questi coccodrilli, a parte un nicaraguense borracho, sul bus internazionale che aveva preso per recarsi da casa a Panama disturbava oltremodo gli occupanti, dopo più richiami l’autista gli impose di scendere alla prima fermata incontrata che malauguratamente fu proprio al Rio Tárcoles. Qui, in teoria sotto effetto alcolico, scese al fiume per un bagno o chissà per cosa, di lui non trovarono più traccia tranne la testa, circa 500 m più a valle. A monte del ponte, grazie alla costante presenza di turisti, si è sviluppato un piccolo agglomerato con ristoranti e negozi di souvenir, prezzi elevati rispetto a Jacó, soprassiedo perché un bus passa proprio ora e rientro anticipatamente in città con un bus locale che compie un lungo e largo giro per raggiungere il centro della cittadina. Anche se già pomeriggio. mi godo un pranzo con kit panino-insalata di frutta-batido-acqua. Rientro in ostello e mi godo attimi di relax sull’amaca poco prima che un forte scroscio d’acqua si riversi sull’area, cancellando così la possibilità di rimirarsi l’ennesimo tramonto incantato. Oggi la camera da 8 si è in larga parte svuotata, doccia fresca in grande tranquillità e mentre esco si riempie in parte, 3 ragazze ovviamente tedesche in arrivo, di gran lunga la presenza straniera più corposa qui nel mezo america. Su consiglio di un addetto, dopo aver notato che la città è un’altra dalla sera prima, praticamente svuotata, ceno in un ristorante che è una specie di self-service dove potersi comporre un piatto unico enorme con bibita compresa, questa a riempimento infinito, situato appena a nord del fiume. Mi giro la via principale che rimane sempre molto poco battuta rispetto al giorno prima per un caffè e rientro in ostello. Qui, a parte un gruppo di statunitensi ubriachi, quasi nessuno, giusto qualche scambio d’info con le ragazze tedesche che arrivano da sud e mi narrano mirabolanti esplorazioni nel Parco Nazionale Corcovado, una settimana intera nel nulla, luoghi attraversabili solo a piedi. Anche loro qui giusto come tappa di sosta, rimangono in parte incredule dal turismo assolutamente distinto che s’incontra.
Iguana al Parque Nacional Carara
19° giorno
Colazione, a pochi passi da qui c’è la fermata dei bus per Quepos dove arrivo in un piccolo paese nei dintorni del celebre Parco Nazionale Manuel Antonio. Mi era stato raccomandato perché molto meno turistico e ancora tipicamente tico, forse quanto di più riva atlantica vista nel versante pacifico. Le sistemazioni tipo ostello non sono numerose, in pratica in paese ce n’è solo uno a metà tra ostello e albergo, una specie di costruzione messicana con le tante stanze attorno a un grande patio con piscina centrale. Affianca un piccolo ristorante a cui c’è accesso direttamente dalla sala che da sulla cucina comune, chi vuole può fare tutto qui, essendo l’unica soluzione in pieno centro, sempre molto pieno. In camera, molto grande con armadietti per zainetto e allacci all’energia elettrica, siamo ben in 11, oggi tutto pieno. Esco subito in escursione per il parco con bus dal terminal che partono ogni 20’. In pratica il parco si trova dall’altro lato della montagna, i 7 km sono percorribili molto lentamente, strada stretta e sempre attorniata da hotel, ristoranti, agenzie viaggio e negozi di souvenir senza soluzione di continuità. Il bus ferma sul lungomare, si percorrono poco più di 500 m per l’ingresso, essendo il parco più visitato c’è molta gente e quindi si fa fila sia per comprare il biglietto sia per l’entrata vera e propria dove gli addetti verificano che non siano introdotti nel parco oggetti indesiderati. È il parco più costoso, il sentiero principale è una via vera e propria, sul lato si apre una passerella nella foresta, ma indubbiamente tutti sono richiamati da Punta Catedral, chi per girarsi il promontorio alla ricerca di viste spettacolari, i più per spiagge incantate e qui ce ne sarebbero almeno due da sogno, non fosse che il bel tempo è un lontano ricordo e le nuvole si son prese tutto lo scenario. Tutti pronti per picnic debordanti, la scusa della passeggiata nella foresta trova soluzione con scorpacciate di cibo. Salire e scendere Punta Catedral è comunque splendida azione, per arrivarci si passa da Playa Manuel Antonio dove la presenza di coati e scimmie cappuccino è foltissima. Alcuni coati danno la caccia a piccole tartarughine, sono ghiottissimi e abilissimi nello scovarle, alcuni si scandalizzano, semplicemente la natura che fa il suo giro. Il clima è sempre peggiore, le nuvole si toccano con una mano, faccio appena in tempo a vedermi la trappola per tartarughe realizzata in tempo precolombiano, che la pioggia arriva. Provo a riprendere un sentiero nella foresta verso il mirador in minima parte protetto dagli alberi, ma la pioggia diventa una specie di tifone e solo il poncho by Decathlon mi salva rientrando verso l’uscita, attendendo che un fiume umano di avventori esca correndo. Tornato in paese, anche questo chiamato come il parco, trovo subito un bus per tornare a Quepos, nel mezzo di un traffico intensissimo, più di 50 m senza fermarci è impossibile. Fortunatamente giunti a destinazione. la pioggia scema, raggiungo l’ostello per una doccia ovviamente fredda a cui faccio seguire momenti di siesta su amaca. Per cena vado in un posto che serve carne alla messicana con bibita libera, ritorno in ostello dove incontro tantissima gente tra cui un tedesco in pensione. Ormai è di casa: partito qualche mese fa, sta finendo i soldi (standard comunque levati, preleva 250$ alla settimana…) e ha scelto di rimanere qui in ostello per l’ultimo mese di vacanza, cibo e bevute, letture continue, piscina o piccole escursioni in spiaggia non proprio in paese. Tutti lo conoscono e lui fa un po’ da padrone di casa, caffè per tutti offerto dall’ostello e gente da tutto il mondo a scambiarsi info, idee e sogni di viaggio, non sono l’unico italiano, c’è una ragazza di Palermo ma la maggior parte dei presenti è di lingua tedesca pure qui, a parte una ragazza boliviana che fa specie incontrare, luogo da cui non mi era quasi mai successo di incontrare viandanti fuori dalla loro splendida nazione. Tiriamo tardi, per una volta fa pure piacere, anche se domattina per molti la sveglia sarà di buon mattina con escursioni disparate.
Un tucano presso il Refugio Nacional de Vida Silvestre Hacienda Barú
20° giorno
Notte non proprio silenziosa, i vecchi e comodi letti di legno sono rumorosissimi, al minimo movimento par di essere in disco, sveglia di buon mattino per caffè e succo in ostello, ci sarebbe anche una sbobba di avena che evito per far tappa in una bella e fornita pasticceria tra ostello e terminal dei bus per due ottime paste. Proprio dal terminal, parto con un bus destinazione Dominical per il Refugio Nacional de Vida Silvestre Hacienda Barú e questa volta l’autista non sbaglia la fermata. Il complesso è una grande riserva privata dove poter alloggiare, sia per visitare il parco sia per godersi la grande e disabitata spiaggia che non è nemmeno invasa da onde improponibili. Ci sono tre percorsi, ma in questo momento visitabili solo due, il Pizote ed il Teak and Canal. All’ingresso, acqua gratuita per chiunque, opto per il Pizote che attraversa la foresta umida verso l’oceano con una deviazione appena entrati che porta a una torre d’avvistamento. Proprio lì scorgo alcuni splendidi ed enormi tucani che, giusto come mi era stato illustrato al Parco Nazionale Tortuguero, passano di ramo in ramo con piccoli spostamenti, il gigantesco becco limita notevolmente la mobilità. Nel totale isolamento del parco se ne restano nelle loro dimore ad alta quota pacificamente, dalla torre tutto questo si osserva con precisione godendosi pure i colori della vegetazione e dei tucani al massimo perché a differenza del solito non occorre rimirarseli in controluce verso il cielo. Da qui ritorno sul sentiero Pizote e attraverso la foresta, gli incontri con svariate tipologie di avifauna sono continui, ma pure alcuni abitanti sulla terra si notano, qualche coati e anche altri mammiferi di piccola taglia passano indisturbati, purtroppo causa condizioni atmosferiche che hanno reso impraticabile il sentiero non è possibile accedere al Lookout Trail che con un giro ad anello di 2,5 km porterebbe sul versante est della riserva oltrepassando la carretera Pacifica fino alla vetta della collina dominante l’area. Continuo il percorso ad anello di 3 km, nella foresta temperatura ottima, l’accesso alla laguna segnata sulla mappa non è fattibile, rientro alla reception per accedere al secondo percorso, questo fuori dalla foresta, imbattendomi subito in un caldo elevato. La prima parte mette in mostra diversi alberi, tra cui una specie interamente coperta da spine, quando si rientra nella foresta il fresco anche se umido si ripropone e questa parte mette in mostra oltre all’avifauna anche alcuni movimenti nei ruscelli che si attraversano, che mi sono descritti alla reception come in larga parte lontre. Raggiunto il sentiero principale, unico percorribile in auto, vado verso l’oceano, nascosto dagli alberi e dalle dune, attraversate le quali si apre ampio e pacifico, almeno per una volta. La bassa marea lascia tantissimo spazio alla spiaggia e qui da soli pare di essere ad un passo cortissimo dall’infinito. Rientro alla reception al termine del sentiero di 2 km, la deviazione all’oceano aggiungerà poco più di 500 m, tutti sentieri facilmente percorribili. Qui rabbocco nuovamente l’acqua, per chi vuole servizi igienici a disposizione comprensivi di docce, torno sulla statale in attesa di un bus per Quepos, sono decisamente fortunato, nemmeno 10’ di attesa ed eccone comparire uno, la frequenza è di uno ogni ora. Cambia la tariffa ma non il tempo impiegato di un'ora, arrivo a Quepos di primo pomeriggio e faccio tappa di nuovo alla pasticceria prima di visitare il lungo mare della cittadina che non ha spiagge. O meglio, di fronte sorge la penisola El Cocal che varia e non di poco al variare della marea, quando questa è al punto più basso è quasi raggiungibile se non a piedi con una piccola nuotata, quando la marea arriva diventa oceano vero e proprio con le imbarcazioni che rientrato dalla pesca mattutina verso il porticciolo che sta nei paraggi del ponte tra la penisola e Boca Vieja. Col rientro delle imbarcazioni arrivano anche diversi uccelli, tra cui una colonia numerosa di pellicani che scacciano tutti gli altri avventori dalle zone con più presenza di pesci. Questa parte di lungomare, tra parco e scogli molto rialzato dal mare è utilizzato sia da coppiette che da avventori alla griglia, con pesci che dal mare terminano la corsa direttamente alla parilla. Rientro in ostello con turisti in ogni dove, è giunta una comitiva polacca che sembra un’invasione di cavallette, ma un angolo per relax su amaca lo trovo proprio sotto a un albero che pare la delizia di una comunità di colibrì. Un forte rovescio di pioggia non rovina il programma, a seguire solita doccia fredda poi guidati dal tedesco ormai cittadino onorario di Quepos andiamo a cena presso la sua soda preferita nel retro del mercato adiacente al terminal dei bus. La Cueva del Marisco non è facile da localizzare se non per gli abitudinari, il mercato è chiuso e solo alcune sodas sul resto offrono servizio di sera, piatti ricchi e a costo minimo con bibita a rabbocco libero. Proprietà tica ma inservienti nica, un classico in questi lidi, rientriamo in ostello per terminare la serata con un caffè o una tisana a disposizione dei residenti, questa sera però al nostro piccolo gruppo di 5 persone non si unisce nessuno, in ostello è cambiata la presenza, quasi tutti polacchi (che fortunatamente utilizzano la grande sala comune al primo piano) o russi, del gruppo misto della sera precedente più nessuna traccia.
continua...
BLOGGER
Luca