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Il Vietnam delle montagne - Parte IV

Diario di un viaggio alla ricerca delle minoranze etniche del nord

 

...segue 

 

7 - Zoccole... 

Abbandoniamo Cao Son e la prossima tappa notturna sarà a Bac Ha, località che sta diventando di crescente popolarità presso i turisti perché sede di un popolare mercato domenicale. So che sarà più frequentato dai turisti ma ovunque leggo che è bello e quindi non voglio perdermelo. Prima però bisogna arrivarci e per farlo passiamo da dove, secondo la mappa, paiono non esserci strade: in realtà lo stradario riporta solamente le strade carrozzabili, cioè dove possono passare le automobili. Ma c'è sempre una strada che le moto possono percorrere, basta chiedere ai locali, e questo mi fa sembrare più sopportabili i disagi degli scomodi spostamenti in moto, che proprio sulle strade non riportate sullo stradario mi fanno ripassare tutto il repertorio di buche e sassi. Ancora una volta lungo la strada ci si può affacciare su paesaggi maestosi che ospitano ripide risaie terrazzate e sono costellati da cascate: mi chiedo cosa saranno mai quelle altre zone, non ancora visitate, dove il paesaggio viene descritto come ancora più bello.

 

Attraversiamo un villaggio e c'è un animato mercato: è venerdì, il pilota non mi sa dire il nome. La zona è quella nei pressi di Si Ma Cai, dove però il mercato si tiene di domenica. Comunque ho modo di incontrare etnie poco viste finora, oltre alle immancabili H'mong Floreali, ci sono anche delle Nung, delle Phu La dal caratteristico grembiule con decori floreali e delle ancor meno facili da vedere Thu Lao, un sottogruppo dei Thai Neri, con camicia nera dalle maniche ricamate e gonna nera le cui lunghe estremità sono spesso infilate nella cintura. Ma ciò che spicca maggiormente è il turbante nero, avvolto in maniera da avere una strana forma appuntita, dal quale sovente spunta, sulla fronte, un fermacapelli in argento. Un bel mercato dove probabilmente di turisti non ne vedono spesso e oggi ci sono solo io. Sarà per quello che un vecchietto mi chiede con insistenza di fotografarlo e io lo accontento. Poi ancora vallate lussureggianti, in fondo alle quali brilla il riflesso del fiume.

 

Ci fermiamo a pranzo, in una città lungo la strada, e al ristorante c'è un gran baccano, generato da chiassose tavolate miste: pare che sia la festa degli insegnanti, che si protrarrà per alcuni giorni, e il pavimento del ristorante sembra un campo di guerra da quanta roba vi è stata lasciata cadere. Le insegnanti paiono godere di una non specchiata reputazione, almeno agli occhi del pilota che ha sempre qualche battutina da fare sul fatto che guadagnano poco e che hanno bisogno di divertirsi: a sentire lui parrebbero essere quelle che nel nostro immaginario sono le infermiere o le parrucchiere. Riprendiamo la strada, facendo attenzione a non scivolare sull'asfalto di recentissima fattura, ancora cosparso di quella pericolosa ghiaia minuta che il pilota affronta con un'insolita, per il suo stile di guida, prudenza, specie nei tratti in discesa.

 

Poco dopo giungiamo a destinazione, dove pernotteremo due notti per visitare i mercati dei paraggi, e c'è modo e tempo per tirare un attimo il fiato. Prendiamo la stanza in uno degli alberghi della piazza principale e così, dopo la doccia, ne approfitto per dare subito qualche panno da lavare alla donnina, sperando abbiano il tempo di asciugarsi. Usciamo di nuovo, ma mi sfugge dove siamo diretti stavolta, visto che di visite ai villaggi vicini non mi pare ne siano previste né ne ho richieste. Salgo in moto, il pilota scambia qualche battuta con un altro motociclista e poi lo segue. Arriviamo in una via dove non pare esserci nulla di interessante e scendendo chiedo al pilota: "Cosa siamo venuti a fare qua?". "Le donne" replica. Non capisco: "Quali donne?". Sempre seguendo l'omino che ci precedeva in moto, entriamo in un negozio dalla saracinesca abbassata. C'è una donna che ci dice che dobbiamo andare nel negozio a fianco. Aperta la saracinesca anche di questo, entriamo. Strano negozio, penso io, nessuno scaffale, nessuna mercanzia in mostra. La donna ci fa cenno di andare nel retro e il pilota, che raramente ho visto così pimpante, mi precede. Entriamo in una stanza dove c'è una televisione accesa, un letto appoggiato alla parete e due ragazze: una che si è appena alzata per farsi un tè e che ci degna di un'occhiata annoiata, l'altra che manco gira la testa, stesa sul letto ad inebetirsi davanti allo schermo. "Scegli quella che ti piace di più" mi dice il pilota con un malcelato sorriso di compiacimento. Il mio "Nessuna" però gli fa sparire il sorriso dalle labbra (e forse anche la sua stima nei miei confronti?). Usciamo e, per evitare il ripetersi di situazioni simili, cerco di essere il più chiaro possibile. Scandisco: "I'm not looking for sex, I told you I'm not married but consider it as I am married".

 

Come se non mi avesse fatto uscire dall'albergo solo per quel motivo (anche se non ha mai lasciato trapelare se fosse una cosa riservata solo a me o se anche lui avrebbe approfittato dell'occasione), subito dopo mi porta a visitare il tempio della città: un bel salto dal profano al sacro, e a vederlo così assorto davanti alle statue delle divinità locali parrebbe un ragazzo tutta casa e tempio. Si ciondola un po' per la città ma il clou sarà il mercato di domenica e, oggettivamente, adesso c'è poco che valga la pena di essere visitato. Ci separiamo. Dove vada lui non lo so (mi verrebbe da malignare...), io gironzolo per un po' fino a quando non capito davanti ad uno dei due alberghi più lussuosi della città, il Sao Mai. Come speravo c'è una postazione internet nella reception e chiedo se posso usarla. La receptionist mi dice "Certamente!" con un gran sorriso, non so se per cortesia o perché mi crede un cliente dell'albergo, e così ho modo di mandare qualche segnale di vita a casa e agli amici.

 

8 - ... e zoccoli

È sabato e ci rechiamo al mercato di Can Cau, che sfruttando il turismo generato da quelli che vanno a Bac Ha per il mercato della domenica, sta diventando sempre più popolare. Il viaggio prosegue a ritroso rispetto alla strada fatta il giorno prima, visto che il villaggio si trova una ventina di chilometri a nord di Bac Ha. Ci troviamo quindi a ripercorrere quel pezzo di strada sulla quale gli operai stavano lavorando e con quello scivoloso ghiaino che il pilota teme. Stiamo procedendo in salita e per la strada c'è il solito andirivieni di uomini e animali. Fra questi ultimi, due cavalli, di taglia piuttosto piccola come sono da queste parti, che procedono uno fianco all'altro. Non so che problemi abbiano i due, forse una storia di puledre, fatto sta che quello davanti sferra un calcione all'indirizzo di quello dietro il quale, nel cercare di schivare il colpo, si sposta di scatto verso il centro della strada. Ma non tiene conto della ghiaia sull'asfalto, perde l'equilibrio e finisce steso in mezzo alla strada, proprio mentre stiamo sopraggiungendo noi. Per fortuna il pilota ha i riflessi pronti e riesce a rallentare anche senza una pericolosa brusca frenata. Il cavallo, spaventato, si rialza di scatto e se ne va.

 

Arriviamo a Can Cau e prima ancora di passare davanti alle prime bancarelle, c'è già la fila dei mezzi. Fila immancabilmente creata da camion, anche perché di auto ce ne sono pochissime, che regolarmente rimangono invischiati nei mercati dove la distribuzione delle piazzole di esposizione delle merci diciamo che avviene in maniera piuttosto empirica. In più mettici le centinaia di moto parcheggiate, le rare automobili e, più tardi, i pullman di qualche gruppo turistico, insomma, immagino che quando un camionista incontra uno di questi mercati non possa non tirare una caterva di bestemmie. Io scendo prima, ma anche a piedi non riesco ad essere più veloce dei mezzi che vanno meno che a passo d'uomo, perché gli spazi sono talmente stretti e dall'altra parte c'è sempre qualcuno che, a piedi o in moto, mi costringe a rientrare dietro al camion. Allora ne approfitto, fintanto che il sole è appena sbucato da dietro le vette che circondato la vallata, per qualche foto alle belle risaie che circondano Can Cau che oggi, nella frenesia degli acquisti e degli incontri del mercato settimanale, sono completamente ignorate.

 

Il mercato è molto vivace: passare in certi punti, specie dove ci sono i colorati abiti delle H'mong Floreali e le donne si perdono in commenti e approfondite analisi dei prodotti, mi fa tornare in mente quando, parecchio più giovane, non avevo problemi a ficcarmi nella ressa per entrare ad un concerto. E' anche piuttosto vasto, con la zona per i tessuti, la zona dove si pasteggia e l'ampia zona dedicata al commercio di animali, in gran parte bufali d'acqua - se ne vedono spesso di albini - ma anche mucche, maiali e cani che si svolge sul ripido fianco di una collina. E' un bel mercato di campagna, diverso da quelli cittadini di Bac Ha e Sapa che vedrò in seguito, ma anche qui sono giunte le prime avvisaglie di modernità: un paio di ragazzi, all'ombra di un tendone, sono al portatile e diffondono la musica degli mp3 scaricati dal web, che credo poi rivendano ai meno abili. Un altro ricava il suo reddito con una macchina plastificatrice di fotografie e documenti montata sulla moto. Gli avventori sono quasi esclusivamente H'mong Floreali, ben pochi appartengono ad altri gruppi, si vede qualche turista.

 

Mentre rientriamo verso Bac Ha, dietro ad una curva sono appostati tre temuti poliziotti stradali nelle loro divise color albicocca. Ci fermano e benché il pilota sia in possesso di patente e documento di proprietà della moto, quest'ultima non di sua proprietà ma presa "in prestito" (in realtà a noleggio), manca il documento che attesta il noleggio e gli vengono comminati 100.000 dong di multa, da pagare subito. Pranzo e poi, seguendo le indicazioni dei libri, potremmo andare a visitare qualche villaggio nelle vicinanze: ci sarebbe Ban Pho ma di H'mong Floreali ne ho già visti a bizzeffe e allora propendo per Na Kheo, sede di una piccola comunità Nung. Però, sarà l'estrema vicinanza alla città, non vi troviamo nessuno in abiti tradizionali. Allora, con grande scorno per il pilota, insisto per andare alla ricerca di Chiu Cai, un villaggio abitato dai Phu La, ad appena 4 chilometri da Bac Ha, ma fatichiamo abbastanza per trovare il bivio che vi conduce. Lo visitiamo ma non è molto frequentato: all'interno di un'abitazione vedo una bella vecchietta in abiti tradizionali e chiediamo il permesso di entrare a dei ragazzi, ma poco dopo che siamo entrati arriva un adulto a dirgli di mandarci via, che di stranieri in casa non ne vuole. Qualche foto per strada e poi, facendo leva sul fatto che la visita non è stata particolarmente soddisfacente e anche sull'amor proprio del pilota sfidandolo a proseguire su una strada scassata come quella, lo convinco ad andare fino al villaggio Dao Tuyen di Nam Khan, ad ulteriori 16 km. Neanche a farlo apposta è lungo queste strade secondarie che si vedono i paesaggi più belli - anche qui terrazzamenti vertiginosi scolpiscono i fianchi delle colline - e ci conducono a destinazione dopo aver chiesto carburante ad una famiglia Nung. Unico inconveniente il dover sorpassare un vecchio camion che su queste stradaccie, oltre ad alzare un gran polverone, occupa quasi tutta la sede stradale, rendendo il suo sorpasso un vero sollievo.

 

Ragazza Hmong Floreale dal vistoso copricapo al mercato di Bac Ha

Ragazza Hmong Floreale dal vistoso copricapo al mercato di Bac Ha - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Arriviamo nel villaggio e, non essendo giorno di mercato, è difficile trovare qualcuno nei bei abiti tradizionali ma il pilota sta cominciando ad entrare nella parte e ha capito che, dietro richiesta e promessa di una piccola cifra, è possibile che i vestiti buoni vengano tirati fuori dall'armadio. Così succede, con l'uomo di casa che sfodera uno strano abito ricamato con copricapo a forma di corona e la donna che manda a chiamare la figlia per indossare l'abito mentre io spero che quest'ultima riesca ad arrivare in tempo visto che la luce sta velocemente scemando. Qualche scatto, una piccola mancia e si rientra, che sta imbrunendo.

 

Ci imbattiamo nel camion che all'andata ci ha fatto penare: è fermo in mezzo alla strada. Mentre di passo lo affianchiamo per oltrepassarlo, spunta un vietnamita, con in testa il classico cappello alla Ho Chi Minh - ancora abbastanza diffuso - che si mette a parlare col pilota. Spiega che è l'autista del mezzo, che si è rotto un pezzo e che avrebbe bisogno di essere portato al bivio in cui abbiamo lasciato l'asfalto, dove dovrebbe esserci un meccanico. Il pilota mi chiede l'autorizzazione a farlo salire con noi e ovviamente acconsento. Mi tolgo lo zaino, che viene poggiato tra manubrio e pilota, resto al mio posto a fare la "fetta di prosciutto" e l'autista sale alle mie spalle. Adesso però buona parte della strada è in salita mentre le buche sono le stesse dell'andata: sento l'autista del camion, che si tiene aggrappato con le mani al portapacchi, avvinghiarsi con le gambe alle mie. Mi scappa da ridere a pensare alla situazione ma la solidarietà verso chi ha problemi stradali è sacrosanta. Arrivati al bivio lo facciamo scendere e poi proseguiamo verso la città: lui invece dovrà, una volta trovato il pezzo, tornare al camion, probabilmente stavolta a piedi e al buio, e cercare di ripararlo. La mia serata invece sarà più tranquilla e anche il pilota potrà godersela: l'indomani potrà alzarsi con calma visto che fino a metà mattinata non avrò bisogno del suo aiuto per girare il mercato. Per un po' lo seguo in un bar dove gioca a biliardo e poi ci facciamo un tè (ma me lo faccio zuccherare) in un baretto vicino all'albergo. È un posto piacevole, che prepara delle palline bianche di non so cosa che poi vengono velocemente cotte e servite con una specie di brodo, ma io preferisco le vecchie foto che decorano il retrobottega al quale dedico una fugace visita. Si vede qualche turista in giro, più del tipo backpacker che del tipo da tour organizzato: quelli arriveranno presumibilmente domani in tarda mattinata direttamente da Sapa. Una coppia mi chiede informazioni e lei è italiana, sarda, assieme ad un polacco. Il pilota mi chiede se, quando mi riporterà ad Hanoi, potremo partire un po' prima, in modo da poter lasciare la capitale nella tarda mattinata ed essere di ritorno a Sapa in giornata. Non prometto niente: già ho appena acconsentito a rinunciare a vedere anche il mercato domenicale di Si Ma Cai che il t.o. diceva molto bello (fondamentalmente perché di mercati in aree monopolizzate dagli H'mong Floreali ne ho già visti a sufficienza) e di mezze giornate regalate mi pare ce ne siano già state fin troppe.

 

9 - Cadute e... scontri

Mi alzo presto e alle 7:00 circa sono al mercato che sta cominciando ad animarsi, senza il pilota, al quale ho detto che ci saremmo visti verso le 9:00, così poteva dormire un po' di più, ma non più tardi, dice il pilota, perché c'è tanta strada da fare. Il mercato di Bac Ha è davvero grande. Vivace e colorato com'è, essendo affollato dalle variopinte H'mong Floreali, è uno spettacolo per gli occhi anche se ci sono più turisti che in altri posti, per quanto sempre in numero abbastanza contenuto rispetto alla massa di locali. Mi fa uno strano effetto vedere questi francesi o tedeschi che col loro metro e ottanta e oltre svettano sui bassi locali, ma più che la statura spiccano per i loro abiti: pantaloni da trekking, magliette aderenti in tinta unita e macchina fotografica o cinepresa in mano, non molto diversi da quelli che indosso pure io. In realtà mi paiono tutti grigi e mesti, quasi scomparire al cospetto delle colorate H'mong Floreali i cui abiti dalle gonne gonfie (anche perché fanno più giri attorno alla vita) le fanno sembrare delle bambole a grandezza naturale. Molto meno diffuse, vi sono anche qualche Dao e Nung. E' vasta la zona dove si serve da mangiare e dove si vendono frutta, verdura e carne, ma è pur sempre un mercato cittadino e a mio parere, anche se più piccolo e caotico, ho trovato più bello quello di Can Cau, con le montagne e le risaie che circondano il catino nel quale sorge il villaggio ad impreziosire lo scenario.

 

In rispetto dell'itinerario inizialmente stabilito, la prossima tappa è prevista a Hoang Su Phi, a metà strada sulla via per Ha Giang. Puntuali partiamo e prendiamo una carrozzabile poco frequentata che mi regala ancora paesaggi fiabeschi. Ad un certo punto, mentre attraversiamo villaggi dove un bianco in motocicletta è uno spettacolo raro, sbagliamo strada e finiamo in casa di qualcuno. Torniamo indietro per vedere in quale bivio abbiamo sbagliato strada, lo troviamo e mentre il pilota dà gas per affrontare la salita, la moto si impenna, lui si getta a destra e io casco a sinistra, praticamente da fermo, con la moto che mi segue e si adagia sulla mia caviglia. Temo il peggio ma quando la moto viene alzata non provo nessun dolore: mi è andata grassa.

 

Mentre stiamo facendo un tratto di strada più scassato di altri, siamo costretti a rallentare perché la sede stradale è invasa per metà da un mucchio di sabbia che un gruppo di donne mette in sacchi che poi prende in spalla e trasporta altrove. Hanno abiti che non riconosco e faccio chiedere al pilota a quale popolo appartengano. Sono delle Ha Nhi, una delle etnie più interessanti del Nord Vietnam ma che non mi risulta che abitino in quest'area (dovrebbero esser infatti reperibili solo nei distretti di Lai Chau e Lao Cai dai quali ci siamo ormai allontanati). Anche i costumi non coincidono con quello che ricordo degli Ha Nhi: queste indossano camicie nere con apertura laterale con decori azzurri geometrici che proseguono nella schiena mentre le Ha Nhi di solito vengono rappresentate con camicie nere con decorazioni frontali a base di monete e dalle maniche con ricche decorazioni sul rosso nonché elaborati copricapi. Finito di mettersi sulle spalle i loro pesanti carichi scendono sul fianco della collina, come una processione di gigantesche formiche. Le seguo per un attimo per fotografarle e poi decido di seguirle fino alla loro destinazione, nonostante il pilota scalpiti nel vedermi allontanare e poi sparire. Le donne mi hanno notato e stanno ridendo, pensando a questo buffo soggetto che le segue. La discesa continua per un po' in mezzo a risaie e campi e, quando mi pare di capire che la destinazione sia ancora lungi dall'essere vicina, mi volto e faccio per tornare sui miei passi ma le donnine mi incitano a seguirle e io obbedisco. Dopo un altro po' le raggiungo in una specie di "camp", dove ci sono dei ripari di fortuna e la sabbia ammucchiata trasportata in precedenza. Mentre le più timide mi guardano di sottecchi e con risolini, le più ardite mi rivolgono la parola ma, ahimé, la conversazione è ardua per ovvi motivi. Indico la macchina fotografica per far capire che vorrei fare delle foto ma la maggior parte si ritira e solo la più ardita si fa avanti e chiede qualche soldo. Ho 60.000 dong spiccioli e le disponibili a farsi fotografare sono 5, mostro un pezzo da 10.000 alla "rappresentante sindacale" che annuisce e all'ultimo momento se ne aggiunge un'altra. Perfetto, che non se ne aggiungano altre però perché non ho contanti. Poco dopo fatte le foto arriva un uomo, che non mi degna nemmeno di un saluto, che pare venire a controllare che le donne stiano lavorando e non facendo chiacchiere. Torno verso la strada e poco dopo loro mi seguono per fare il loro prossimo giro. Tramite il pilota vengo a sapere che prendono 1000 dong per ogni sacco trasportato e che in una giornata guadagnano circa 50.000 dong (circa 1 euro e mezzo). Se non altro, coi miei spicci hanno guadagnato come 10 viaggi col pesante sacco sulla schiena. Una volta tornato a casa, sono riuscito a stabilire che fossero proprio delle Ha Nhi, una specie di "variante blu" che occupa i territori più orientali che comunque, in teoria, avevamo già oltrepassato.

 

Due donne Hmong Floreali controllano il cellulare al mercato di Can Cau

Due donne Hmong Floreali controllano il cellulare al mercato di Can Cau - Archivio Fotografico Pianeta Gaia

 

Proseguiamo verso Bac Ha e il pilota, approfittando di una sosta fotografica, mi chiede se può farsi un riposino, visto che ha fatto tardi per giocare a biliardo. "Ma a che ora sei rientrato?" gli chiedo fingendo di non averlo sentito tornare a mezzanotte. Lui mi risponde con un califanesco "Saranno state le quattro...". A pranzo ci fermiamo a Coc Pai dove è anche giorno di mercato: ne approfitto per fare un giro e vedere le minoranze locali. Oltre alle H'mong Floreali vi sono delle Dao nei loro soliti abiti neri anche se, qui, i decori sono in blu e non in rosso e delle belle Nung, qui dagli abiti molto più curati che altrove. Oltre alla solita camiciola ad apertura laterale e al turbante col bordo decorato sulla fronte, qui sfoggiano anche vistosi gioielli in argento a decorazione dei capelli e del turbante stesso, oltre ad una specie di strano nodo sul retro della gonna. Pranziamo, mentre davanti a noi un contadino ha portato degli alveari raccolti nel bosco con ancora le larve dentro e li sta vendendo.

 

Da Coc Pai in poi la strada migliora sensibilmente e, forse per questo, il pilota comincia ad aumentare la velocità. C'è una coppia di motociclisti che ci sta davanti e lui si fa prendere dallo spirito di competizione e vuole sorpassarli a tutti i costi: tampina il secondo mezzo e non appena trova uno spiraglio comincia il sorpasso, suonando il clacson a tutto spiano. Ha appena finito di sorpassarlo, e ovviamente di lanciargli il classico sguardo di sfida/compatimento, quando la prima delle due moto, che ormai ci apprestavamo a sorpassare, palesemente inconsapevole del fatto che noi gli stavamo giungendo alle spalle, improvvisamente svolta a sinistra, per un sentiero. Vedo la morte passarmi davanti ma per fortuna il pilota e riesce a frenare in tempo per evitare lo scontro. Poi gli tira qualche probabile accidente in vietnamita, anche se, nel caso fossi sopravvissuto all'incidente, un tozzone l'avrei tirato a lui e non all'altro.

 

Giungiamo ad un punto in cui il ponte stradale è mezzo crollato, attualmente in riparazione e non vi si può passare sopra. Così alcuni industriosi locali hanno costruito dei ponticelli galleggianti di bambù e si fanno pagare per l'utilizzo. Noi passiamo senza problemi, anche se balla parecchio, ma dubito fortemente che le auto possano sfruttarlo. Mi faccio coraggio pensando che, dopo tutto, andare in moto è stata la scelta giusta. In seguito facciamo una sosta davanti alla più imponente delle tante cascatelle che punteggiano questo tratto di strada e giungiamo a Hoang Su Phi che sono circa le 2 del pomeriggio. Entrando in città c'è il solito traffico disordinato: una motocicletta, con pilota e passeggero, è ferma in mezzo alla strada e sembra non riuscire a mettersi in moto. Con nonchalance sorpassiamo a destra, proprio quando questa si mette in moto e parte, sbisciolando e buttandosi a destra. La ruota anteriore mi colpisce alla gamba sinistra e gli indirizzo un'imprecazione in romagnolo stretto. Soliti sguardi di fuoco tra piloti, qualche probabile accidente reciproco, e tutto finisce lì. Per fortuna anche stavolta è più lo spavento che altro.

 

Scarichiamo armi e bagagli all'albergo e poi il pilota sparisce per circa un'ora e mezza. Non sopporto queste pause improduttive quando si potrebbe utilizzare il tempo in altra maniera: dapprima guardo le complesse operazioni di carico passeggeri e merci sul pullman diretto a Ha Giang che parte proprio davanti all'albergo, poi vado a fare un giro al mercato locale che però non è molto frequentato, anche se vi trovo delle Dao di tipologie non ancora ammirate. Quando torna il pilota "mi è salito il sistema nervoso" e me lo mangio vivo: non esiste che la sua giornata lavorativa inizi alle 9:00, finisca alle 14:00 e che io rimanga appiedato perché lui sparisce. La sua replica è che non sta facendo altro che rispettare l'itinerario che gli è stato comunicato dal t.o. (quel foglio sdrucito che mi mostrò i primi giorni). Allora mi faccio chiamare al telefono il titolare e metto in chiaro le cose: il pilota sarà anche bravo a guidare (con esclusione della giornata odierna) però non è assolutamente una guida, non ha idea di cosa ci sia da vedere tra una città e l'altra e se sto vedendo molte delle cose che volevo vedere è solamente perché ho quei preziosi libri con me. Quindi d'ora in poi le tappe le decido io, di volta in volta, senza dover essere legato ad un all'itinerario stabilito in precedenza sulla cui validità ora nutro dei dubbi. Il t.o. non ha nulla da obiettare, comunica la cosa al pilota il quale non batte ciglio e poi, per quieto vivere, gli indoro un po' la pillola dicendogli che il t.o. avrebbe dovuto dargli disposizioni più precise su villaggi ed etnie da visitare, ma so che non è proprio così che funziona: il t.o. predispone un canovaccio all'interno del quale una brava guida sa tirare fuori il meglio. Ma lui non è una guida, è un pilota, e quello che gli preme maggiormente è arrivare presto a destinazione, così può andare a giocare a carte o a biliardo. La sera andiamo in un bar quasi a festeggiare la "ritrovata amicizia" (o forse perché in città non ci sono locali da biliardo che gli interessano) e la proprietaria del locale, visto che nell'oretta che stiamo lì non entra nessun altro cliente, mi fa molte domande alle quali rispondo divertito tramite la traduzione del pilota, a dimostrazione che le scene mute spesso tenute durante le visite alle abitazioni dei locali potrebbe essere diverse se solo avesse un po' più di voglia di sbattersi.

 

continua...

 

Il Vietnam delle montagne - I

Il Vietnam delle montagne - II

Il Vietnam delle montagne - III

 

ESPERTO: Viaggi etnografici e alternativi

Roberto

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