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13° giorno
Solita razione di uova per colazione in guest house, poi proprio di fronte a questa con biglietti comprati dal gestore il giorno precedente prendiamo il bus per raggiungere il Lago Inle. La prima parte del trasferimento è in pianura, tutto tranquillo, a mezzogiorno in punto sosta per pranzo presso un grande punto ristoro dove la situazione più coreografica è regalata dalle tante venditrici di prodotti locali che girano in abiti tradizionali con in testa un enorme vassoio pieno di ogni cosa, quella che va di più tra i locali sono le uova di quaglia. Mentre dibattiamo sulla storia degli stranieri Virtus pallacanestro degli anni ’70, siamo interrotti a cavallo della stagione '74/'75 da un personaggio che esibendo una esse sibillina come la nostra rimembra Tom McMillen, e un casuale incontro del genere qui fa di certo impressione. Il bus copre la tratta Bagan-Taunggyi (capitale dello stato Shan), non siamo ancora in grado di sapere se ci scaricheranno lungo la statale a Shwenyaung da dove prendere un mezzo per il lago Inle oppure il bus devi fino a Nyaungshwe, di fatto l’accesso al lago, vedremo. Da ben prima di Thazi si sale in montagna, la strada è asfaltata e in buone condizioni ma le curve continue, quindi non c’è un attimo di tregua fino al falsopiano di Kalaw, dopo meno di un’ora il bus svolta a destra e comprendiamo che ci porterà a destinazione. Ben prima di arrivare si scorgono già fiume e laghetti sormontati da palafitte, il mitico lago Inle è a pochi kilometri. Lo spiazzo a nord di Nyaungshwe funge da stazione dei bus e biglietteria per l’accesso alla zona che deve essere acquistato prima di scendere dal mezzo, così diventa impossibile evitarlo, prima che il sole scenda la temperatura pare buona e l'allarme viene riposto, per il momento. Troviamo da sistemarci presso una guest house in espansione, luogo bello ma dalle pareti di tek non propriamente ideali per le notti fredde di qui, ma visti i lavori la cosa peggiore è la colazione all’aperto che in estate nel giardino sarà sicuramente un valore aggiunto ma al momento ci costringerà a coprirci all’inverosimile e utilizzare la tazza piena di caffè caldo per scaldare le mani ghiacciate. Appena mettiamo piede fuori dalla gues house siamo avvicinati da vari pescatori che offrono escursioni sul lago, non ci mettiamo molto a contrattare due di giorni di escursione con un barcaiolo che qualche parola d’inglese conosce, il primo giorno il giro è quello classico, ma per il secondo vogliamo uscire dai luoghi più comuni e insistiamo perché pensi a qualcosa d’inusuale. Da qui si può passeggiare sul Nam Chang, il canale principale, ma il lago non è accessibile, si notano già le innumerevoli imbarcazioni che solcano il canale come se fosse la A1 Milano-Bologna, un traffico spaventoso di rientro dalle escursioni giornaliere. Le lance strette e lunghe, hanno cinque posti su sedie amovibili, il costo dell’escursione è a imbarcazione ma se si viaggia da soli qualche dollaro lo si può spuntare, ovviamente viaggiare in cinque ha grandissimi vantaggi economici. Notiamo che tutti quelli che rientrano son ben coperti, appena il sole scende la temperatura si abbassa, la sera fa freddo ma quello intenso giunge con la notte e la mattina, se di giorno le temperature stazionano tra i 25° e i 28°, nella notte più fredda abbiamo raggiungo i 2°, escursione termica importante, soprattutto quando di mattina occorre solcare il lago sulla lancia. Per cena facciamo tappa in un ristorantino di ottima qualità e servizio praticamente dedicato poiché, trovandosi fuori dal centro, c’è poca gente e il titolare si ferma a chiacchierare con noi, illustrando in un inglese quasi inventato un po’ di notizie sul lago e sulla distinzione tra la popolazione shan e intha. Questi ultimi sono i tradizionali abitanti del lago, e quando si dice abitanti del lago s’intende nel lago, non solo a fianco. Come avremo modo di verificare in seguit,o tutto avviene su palafitte e piccolissime strisce di terra, in questa zona le minoranze etniche sono numerose, una situazione che la giunta militare ha sfruttato a fondo per tenere in mano lo stato mettendo sovente le une contro le altre, quando questo non avviene da solo.
Pescatore Intha con la tradizionale rete a cono
14° giorno
Fa freddo di notte, la leggera coperta in dote al letto a poco serve e anche quella recuperata in aereo non può risolvere del tutto il problema, ma non ho voglia di uscire dal letto per recuperare il sacco a pelo, così resisto fino all’ora della colazione, che viene servita lentamente all’aperto. L’acqua bollente per il caffè arriva dopo poco e la utilizziamo subito per scaldarci mani e corpo, colazione in guanti, non bianchi ma di pile. Il barcaiolo ci recupera in guest house, andiamo con lui all’attracco della sua lancia, caricate sedie, coperte, ombrelli, giubbotti di salvataggio e motore siamo pronti per partire, coperti all’inverosimile da pile, cuffie, guanti ma soprattutto coperte dei pescatori, mai così preziose. Percorriamo il canale in direzione sud verso il lago per circa 15’, incrociando i primi pescatori quando entriamo nel lago, caratteristici con le loro reti a cono e il modo di remare stile serpente, usando un remo e spingendolo dalla posizione a poppa in piedi con un braccio e una gamba, metodo usato per i piccoli spostamenti quando non si può accendere il motore per non spaventare il pesce. Immagine simbolo del Myanmar vista e rivista, non perde un briciolo del suo fascino mentre le nubi lasciano spazio al sole e la temperatura sale velocemente. Percorriamo la parte ovest del lago in direzione Nampan e omonimo mercato. Qui al lago il mercato si svolge ogni giorno ciclicamente in cinque villaggi della parte nord e oggi, come altre centinaia di lance, ci dirigiamo in questo angolo di paesino (Nampan vera e propria non è proprio nel luogo del mercato), trovato a fatica un approdo saltando di lancia in lancia raggiungiamo la terraferma e ci immergiamo in questo splendido luogo di compravendita, pesce, the, verdure, carni (ma non ho notato i topi fritti di Shwebo…) e quanto altro, per gli abitanti del lago e delle montagne dei paraggi questo è posto di scambi per eccellenza, si scorgono anche i primi Pa-o nei loro caratteristici abiti. Lasciato il mercato dopo quasi 2 ore, facciamo tappa a In Phaw Khone, villaggio su palafitte celebre per la produzione di tessuti ricavati dal filamento contenuto all’interno del bambù. Qui è possibile assistere al processo completo, dal taglio del bambù al prodotto finito, una guida illustra ogni passaggio (una giovane del posto che parla perfettamente inglese) fino allo spaccio finale, la cosa più interessante è la spiegazione dei colori e dei disegni di ogni longyi (il tipico capo di abbigliamento locale, sia per uomini che per donne, una specie di grande tovaglia che si arrotola in cintura) per ogni etnia del lago ma anche del Myanmar. L’esposizione di vendita raggruppa un’infinità di prodotti effettivamente molto belli, ma i prezzi sono spropositati, visto il tempo di realizzazione sarebbe anche giusto, ma spendere 75 $ per un camicia da queste parti sembra fuori dal reale. Risaliamo sulla lancia per due veloci soste, la prima a Se Khone presso una fucina dove si apprezza la sincronia nella battitura del ferro caldo al fine di realizzare coltelli preziosi, come molto belli e costosi sono i gong, la seconda alla fabbrica di sigari di Nampan, dove si possono testare vari tipi di prodotti locali senza venir assillati dal comprare a tutti i costi. Da qui prendendo il canale in direzione Inthein facciamo tappa a Ywama presso il più importante sito religioso del lago, Phaung Daw OO Paya, e in seguito ad una fabbrica di ombrelli, la struttura di questi interamente realizzata in bambù sotto i nostri occhi in maniera veramente inventiva, la parte in tessuto con decorazioni splendide, ombrelli che si possono trovare nei grandi mercati di Yangon, fuori da questa fabbrica come richiamo turistico sostano due donne giraffa di età diverse, che tristemente mettono in mostra gli anelli che decorano collo e gambe. Ci si può fare un’idea del peso di tutta questa mercanzia, ma pare più uno zoo che altro, queste donne giraffa dell’etnia Paduang sono originarie della stato Kayah, luogo non di facile accesso perché sul confine con la Thailandia e da sempre abitato da ribelli che reclamano l’indipendenza di questo minuto territorio. Sosta pranzo in ritardo per gli usi e costumi del posto, più per soddisfare l’esigenza del barcaiolo che la nostra, in un ritorante grande e bello poi, risalendo il fiume, partiamo in direzione Inthein, il villaggio più celebre e vivo sul lago. Il percorso per arrivare è fantastico, dal lago pian piano ci si immerge in un passaggio nel folto della foresta per accostarsi sulle anse del fiume alle prime costruzioni in legno del villaggio. È pomeriggio e il locale mercato è già terminato, ma rimangono ancora molti turisti a girovagare verso la sommità della collina dominata dagli infiniti stupa della Shwe Inn Thein Paya, la parte in basso vere e proprie emozionanti rovine (Nyaung Ohak), più si sale più sono nuovi e anche in ristrutturazione o costruzione. Ma la vista migliore la si conquista salendo ancora su di una collinetta a sinistra della paya, dove sorge un piccolo chiosco che regala in un unico panorama la vista sulla paya, sugli stupa e il lago in lontananza, attorniato dalle montagne e dal verde intenso di alcuni punti sul blu, i celebri orti galleggianti. Invece di scendere lungo la scalinata coperta, lo facciamo aggirandoci tra gli stupa e trovando un passaggio su di un sentiero sulla destra della scalinata, arriviamo alla lancia ed è già tempo di rientrare perché la distanza non è poca, passeremo lungo i canali che costeggiano gli orti galleggianti (che visiteremo con calma l’indomani) per prendercela comoda con le viste dei pescatori al tramonto. E in effetti il nostro barcaiolo non ha sbagliato i tempi, i colori del tramonto coi pescatori al lavoro sono immagini sontuose, non ci mette fretta e rimaniamo fino a quando il sole inizia a nascondersi dietro alle montagne, verificando che oltre ai pescatori ci sono molti barcaioli che recuperano alghe, lance stracolme di alghe che navigano piano lo spettacolare lago, lago che da vita a una moltitudine di persone non nei suoi dintorni ma proprio nella sua superficie, visti anche i numerosi villaggi su palafitte, completi di ogni tipologia di costruzione, dalla piccola paya al distributore di benzina. Rientrando la temperatura si abbassa velocemente e dobbiamo rimettere mano a coperte e pile, ma poco male. Nell’attesa dell’ora di cena, sosta per una navigazione questa volta in internet per poi raggiungere un ristorante che a fronte della bella griglia in vetrina la sfrutta solamente per spiedini di interiora di maiale, lasciamo perdere. Il freddo si impadronisce della vita locale e rimediamo velocemente nella camera della guest house, non prima di aver recuperato dallo zaino il sacco a pelo, fondamentale per una nottata di sereno riposo.
Giorno di mercato a Thaung Tho Kyaung
15° giorno
La notte è fredda ma il sacco a pelo fa da scudo, la colazione lenta e all’aperto ci rimette subito in piedi pronti a preparare nuovamente la lancia del barcaiolo per un’escursione praticamente a sorpresa in zone più a sud del giorno precedente e meno battute. Le nuvole avvolgono il lago, la navigazione si fa dura perché per oltre un'ora il freddo è particolarmente intenso,. Ci lasciamo alle spalle i luoghi visti il giorno prima e passiamo alcuni villaggi su palafitta tra Helon e Hsisone e in 10 minuti il cielo si sgombra e il sole torna a farla da padrone, poco prima di intravvedere Thaung Tho Kyaung, un villaggio dove par di stare ancora nel ‘800. Attraccata la lancia, scendiamo a terra dove non s’incontrano mezzi a motore ma solo carri e buoi, pochi e rari stranieri e tanti abitanti del luogo vestiti dei loro caratteristici abiti. Qui gli Intha ed i Pa-o la fanno veramente da padroni, il mercato tribale è uno spettacolo fantastico e risalire la collina per raggiungere il complesso degli stupa è un piacere assoluto, come scendere lungo il sentiero sulla destra della scalinata da condividere coi carri degli abitanti che se ne tornano a casa carichi all’inverosimile. Ci attardiamo al mercato dove ogni gruppo fa suo qualsiasi tipo di suppellettile, genti che s’inventano ogni modo di caricarsi a più non posso per ripartire con le lance a volte prese in prestito per l’occasione. Dopo una lunga e attenta osservazione, ripartiamo ancora verso sud per raggiungere tra passaggi nascosti il villaggio di Kyauk Taung, la temperatura permette già di riporre negli zaini pile e quanto altro era stato di difesa qualche ora prima. Calma piatta, la zona adibita a mercato è completamente sgombra, oggi non è il giorno giusto (anche in questa zona a sud c’è la rotazione del mercato ogni cinque giorni) ma dopo essersi informato il barcaiolo ci trova una famiglia intenta a produrre pezzi di ceramica, la specialità di questo piccolo luogo che però oggi non trova nessun visitatore. La proprietaria in pochi attimi realizza portacenere e anfore, tenta di trasformare anche noi in piccoli operatori del settore ma i risultati non sono i medesimi, vende alcune realizzazioni fatte in precedenza a prezzi prossimi allo zero, lasciamo anche un disegno fatto da uno di noi maestro del fumetto come saluto, saluti che grazie a questo interscambio si prolungano. Visitiamo velocemente il villaggio dove escono tutti da casa a guardarci e ripartiamo in mezzo a piccoli canali che parrebbero impraticabili ma che per il nostro barcaiolo sono comuni. Tra i fitti canneti occorre evitare qualche colpo di troppo ma l’esperienza è esaltante, il barcaiolo ci chiede se vogliamo far visita alla sua famiglia a Maing Pyo, accettiamo entusiasti e così attracchiamo presso una grande casa su palafitta. La famiglia non sa di questo “esotico” arrivo, sono tutti intenti a guardare alla televisione un film che pare uscire dagli anni ’30, ci fanno comunque accomodare nel mezzo di una grande sala al primo piano dell’abitazione, dove si svolge la vita comune. La parte superiore è adibita alla parte riposo, non ci viene chiesto di salire e non ci prendiamo la libertà di farlo. Il barcaiolo in realtà non abita qui ma per lavoro rimane a Nyaungshwe, tutti gli altri invece vivono qui, dalla nonna che pare imbalsamata ai genitori, per finire coi due fratelli e una sorella. Nonostante non sia il più giovane, è l’unico a non aver figli ma anche l’unico a vivere in città e guadagnare in un giorno grazie alla barca quello che per gli altri arriva in oltre 15 giorni. Ci offrono frutta e dolci e l’immancabile the verde (in Myanmar non manca mai, ogni ristorante, guest house o casa lo mette sempre a disposizione gratuitamente), nessuno parla una parola d’inglese quindi dopo una veloce presentazione e un risicato scambio d’indicazioni con traduzione traballante, ripartiamo tra l’entusiasmo dei vicini, probabilmente siamo stati tra i primi ad aver messo piede a casa di abitanti del luogo che non siano commercianti. Fatto rifornimento ad un casotto sempre galleggiante, ci inoltriamo per il villaggio, il barcaiolo è contento di farsi vedere qui con stranieri, per lui è un segno d’importanza e di avercela fatta a uscire dall’economia difficile del posto grazie al sacrificio dell’aver comprato una lancia a motore mentre prima faceva il pescatore con tanta fatica, molto più lavoro e incassi minimi. Di nuovo in netto ritardo per gli orari del posto, facciamo una sosta in un ristorante sul canale principale per poi entrare a visitare gli orti galleggianti. È incredibile come abbiano sfruttato al meglio pochi centimetri di terra per piantare qualsiasi tipo di ortaggi, pomodori su tutti da cui deriva l’ottima insalata arricchita da arachidi e una salsina locale, la cura di questi giardini è maniacale, il tutto realizzato dovendo sempre muoversi su barche in spazi ridotti ai minimi termini. Nel mezzo della vasta zona degli orti sorge un monastero particolare, Hga Hpe Kyaung, conosciuto da tutti come il "monastero del gatto che salta". I monaci locali in questo incontaminato luogo di meditazione hanno sicuramente tanto tempo a disposizione e l’hanno utilizzato per insegnare ai gatti a saltare all’interno di cerchi, la particolarità è divenuta talmente nota che ha dato il nome al monastero, la vista arrivando dalla parte est è sicuramente più caratteristica e l’attracco meno battuto. Piccoli stupa o minute dorate pagode sorgono anche nel mezzo della zona degli orti, da qui riprendiamo il viaggio di rientro passando ancora tra i pescatori sempre spettacolari anche se non più una novità per arrivare a Nyaungshwe al tramonto, notando come gli attracchi delle lance fungano anche da docce pubbliche per i barcaioli. Congedato il nostro skipper, giriamo il paese per organizzare il giorno seguente dove lasceremo il magico mondo del lago Inle, un microcosmo assolutamente imperdibile. Cena in un ristorante, dove ci ritroviamo col virtussino incontrato qualche giorno prima. Il ristorante è tipico birmano ma oltre al solito piatto dagli svariati curry offre anche tante valide alternative ed è strapieno di gente, per la prima volta troviamo gruppi d’italiani, fino ad ora la presenza straniera coincideva quasi unicamente con francesi.
Gli innumerevoli stupa di Kakku si specchiano nell'acqua
16° giorno
Affrontata nuovamente la notte all’interno del fido sacco a pelo, colazione al freddo che conferma il solito sbalzo termico del luogo, carichiamo gli zaini su di un’auto che ci farà da taxi per la giornata, destinazione Kakku, il luogo simbolo dello stato Shan e vera e propria piccola patria della popolazione Pa-o. La strada sale irta verso Taunggyi, capoluogo dello stato, oggi straripante di gente perché giorno di mercato. Facciamo tappa alla stazione dei bus che si trova prima del centro, non indicata e visibile giusto perché scassati autobus stazionano in zona, ma dopo svariate richieste impariamo che i biglietti non sono venduti qui ma in centro, dove ci dirigiamo lentamente perché il mercato è ovunque. Dispersivo ma non meno interessante, purtroppo abbiamo altre priorità, la prima andare all’ufficio delegato all’ingresso del sito di Kakku in pieno centro, qui occorre comprare il biglietto e pagare la guida obbligatoria. Girando e chiedendo ovunque, troviamo anche un gruppetto d’indigeni che vendono i passaggi dei bus, in pratica un piccolo chiosco nel mezzo di un incrocio che grazie al mercato non viene sommerso dalle auto, ma impossibili da distinguere se non vengono espressamente indicati. Il biglietto è tutto in birmano, riusciamo a farci scrivere i riferimenti anche traslitterati, giusto per sicurezza. L’auto a nostra disposizione ha però un guasto alla portiera dell’autista, così il driver chiama un rinforzo, 20’ e siamo pronti a partire su di una nuova e fiammante Toyota senza dover aggiungere soldi, dispiace per il precedente autista simpatico e a conoscenza dell’inglese. La guida che ci farà da navigatrice a Kakku è una minuta studentessa ventunenne della locale università, iscritta a letteratura inglese che parla perfettamente ma probabilmente ferma al bardo di Stratford Upon Avon, poco male poiché conosce ogni aspetto della sua etnia Pa-o (di cui veste orgogliosa gli abiti tanto caratteristici) e dei luoghi che attraversiamo. Il trasferimento da Nyaungshwe a Kakku dura circa 2:30, da Taunggyi oltre un’ora data la strada non proprio ben tenuta, così abbiamo tempo per imparare che le risaie in questo tempo non sono inattive ma vengono utilizzate per la coltivazione dell’aglio presente in quantità industriali ai mercati, che i frutteti a quota 2.000 m sono inaspettatamente produttivi anche per le arance, che siamo nello stato Shan ma le etnie sono molteplici e non sempre pacifiche tra di loro, insomma una piccola balcanizzazione che tanto ha fatto comodo alla giunta militare che presente nelle menti di tutti non si scorge mai, inesistenti i controlli se non i dazi da pagare a ogni ingresso e uscita dalle cittadine, esentate le bici e le moto. La vista di Kakku impressiona al primo colpo, 2.487 stupa in uno spazio che sarà 150x200m nel mezzo del verde più intenso. Se ne scorgono di molteplici stili, a dimostrazione che furono eretti in più periodi anche se la solita leggenda locale vuole la realizzazione circa nel 300 a.c., direi che di leggenda e nulla più si tratti. Bello girare senza una meta precisa tra i piccoli sentieri che dividono questi stupa, ma ovviamente il pezzo forte è lo specchio d’acqua che si trova a destra dell’entrata dove questi si specchiano regalando immagine mozzafiato. Kakku è tutta qui, volendo nello spiazzo antistante sorgono alberi dal fusto gigantesco predisposto per picnic, ma l’ammasso di stupa volge l’attenzione sempre e solo in quella direzione. Sosta di relax al ristorante di fronte giusto per testare la squisita tempura di verdure, poi rientriamo a Taunggyi con la piccola guida a raccontarci aneddoti del luogo e interrompere queste storie con un’accademica introduzione alle costruzioni dei villaggi, tra scuole, ospedali e siti di stato, un cambio di registro da ufficiale e ufficioso che colpisce. Ci portano di corsa alla sgarruppata stazione dei bus, nessuno sa nulla ma un local bus è in partenza, senza nemmeno controllare il biglietto ci fanno salire, eravamo preoccupati del ritardo di 5’ (non sapevamo se ce ne fossero in partenza più tardi) ma il bus è vuoto. Pian piano si riempie e solo a quel punto si parte, il local bus ha vaghi orari, raccoglie chiunque faccia un cenno e fa scendere a piacere, per tutto il tragitto i buttafuori/bigliettai viaggiano per metà fuori a urlare destinazioni raggiungibili, carica gente anche quando questa non ci sta ma è il bello del posto. Raggiungiamo Kalaw quando il sole è già nascosto dietro alle montagne, il local bus ci scarica in pieno centro e non sulla strada principale dove fanno sosta i bus a lunga percorrenza, qui troviamo subito alloggio. Anche qui di sera la temperatura precipita, ce ne accorgiamo mentre giriamo il villaggio per organizzare i giorni a seguire, finendo per cenare presso un ristorante deludente, scelto perché si scorgevano più avventori che altrove, ma a ragione erano più attratti dal grande televisore che come sempre rimanda immagini di calcio inglese che dal cibo.
continua...
BLOGGER
Luca