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4° giorno
Colazione sempre di alto livello e ottima quantità, poi grazie ai servigi dell’hotel, una guida viene a contrattare direttamente qui per definire un’escursione in quad. È cilena, così evitiamo il problema della lingua. Trattare qui ha poco esito se non per perdere tempo, si desiste velocemente e si parte dopo poche nozioni base (nel mio caso non è la prima volta che utilizzo un mezzo del genere nemmeno nel mezzo delle dune, ma la prima su dune così sabbiose e per nulla compatte). Poichè il parco nazionale non è attraverabile se non lungo le vie di entrate e uscita, optiamo per un percoso simile a quello del giorno precedente, passando però in una zona di dune accessibili, verso Barrinha. Presa velocemente la mano al mezzo, muoverci in questi scenari in autonomia è uno spettacolo, il CF veramente ottimo, così dopo alcune tappe già affrontate il giorno precedente e dopo aver fatto rifornimento a Preá (a Jeri non ci sono benzinai) prendiamo per le dune tra Castelanho e Taboleiro. Data la consistenza molto soffice, la prima regola è gas a manetta, e se te lo dice la guida vuoi non metterlo in pratica? Soste però ne dobbiamo fare, lo scenario lo merita e alcune foto sono obbligatorie, qualche delucidazione per come scendere dalle dune lungo le vie più verticali e via da provetti quaddisti. Luis ci porta sulla spiaggia, tempo per un bagno o per pranzare dal suo amico Belo, proprietario di un posticino dove scegliersi un’aragosta a piacimento. Belo, da vero proprietario sudamericano, non fa nulla, lavora la famiglia, lui conversa con amici oppure gioca a carte. Tutto scorre con serenità in questo angolo che Luis decrive come Jeri 25 anni fa. Il nostro giro però non è terminato, rientriamo via lagune, prima la Lagoa Azul poi la Lagoa do Paraiso, e una volta presa confidenza col quad è un gran andare, soprattutto quando arriviamo nel parco nazionale e possiamo attraversarlo (senza salire sulle dune), girandocelo a nostro piacimento. Rientrati in hotel aiuto Luis nel riportare i due quad a nolo al suo ufficio, due giri per Jeri in più, mentre le 4 ore hanno leggermente debordato, senza però nessuna richiesta di adeguamento prezzi. Jeri non è Jeri se non si rimira il tramonto del sole dalla Duna do Pôr do Sol, trovarla non è certo complesso, basta seguire il flusso costante di gente che sale ben prima del tramonto. Situata 500 metri a sud-ovest del centro cittadino, domina la città e volge all’oceano, mentre dietro di se l’immensità del parco nazionale. Già il luogo è bello di suo, quando il sole lo illumina orizzontalmente sembra che prenda fuoco. Quando la palla infuocata del sole s'immerge nell’Atlantico, un applauso lo saluta, senza fretta (del resto cos’altro c’è da fare qui?) lo sciame di gente scende in città lungo la spiaggia che tra passeggiate a cavallo e alcuni resti di imbarcazioni dona ulteriori spunti fotografici per far risaltare ulteriormente il luogo. Sabbia, sabbia in ogni dove, da qui la parola simbolo di un viaggio del genere da Fortaleza a São Luís, sabbione! Rientrati in hotel, tempo di doccia e poi cena, trattandoci sempre molto bene cambiamo però destinazione, in un ristorante sempre di alta qualità ma dal servizio certamente più lento e macchinoso. Terminata la cena la promessa festa samba-rock altro non è che una minimale esibizione del sosia locale di Elvis Presley, prescindibile. Solita vasca e rientro in hotel per una nuova giornata da asfalto zero. Va detto che Jeri è sì tutta sulla sabbia ma ben compatta, per nulla difficoltoso girarci pure a lungo, non sarà così sempre in seguito.
Gli spettacolari scenari del Lago Tatajuba
5° giorno
Terminata la ormai canonica abbondante colazione, tempo di saluti coi gestori dell’allegra pousada e via con le jeep lungo la costa, si percorre la spiaggia passando tra dune e lagune, un anticipo di quanto s’incontrerà, già questo scenario pare molto spettacolare, chissà cosa ci attenderà. L’attraversamento del Riacho Tucunduba avviene su chiatta, l’autista ci chiede di rimanere in auto, ma ovviamente lo scenario ci porta a terra e saliamo sulla chiatta a piedi, poco male alla fine. Oltrepassato il fiume, iniziamo a girovagare tra le dune con discese mozzafiato, dune color giallo-ocra, quest’area è attrezzata per il turismo, in alcune lagune è possibile gettarsi dalla sommità delle dune su piccole tavolozze a volo d’angelo, la discesa è irrorata con acqua e si scivola facilmente, il costo è di 10r, ma il biglietto cumulativo di più corse è la prassi. Non lontano dista la Lagoa Tatajuba, non una singola laguna ma un complesso di lagune verdissime dove poter fare svariate attività, dal lancio con tavoletta a quello con tirolesa, ma anche iniziare a perdersi camminando tra le dune o gustarsi aragoste e pescado del giorno nei tanti ristoranti a bordo laguna con sedie, sdrai e amache in acqua. Si riparte sempre percorrendo dune e spiaggia fino al passaggio sul Rio Coreaú, fattibile con un traghetto lento su di un estuario mosso. Si sbarca a Camocin, continuiamo su asfalto entrando nello stato del Piauí oltrepassando Parnaíba per far tappa a Port do Tatus, ultimo lembo di terra dell’Ilha Grande. Qui carichiamo gli zaini su di un’imbarcazione per entrare a tutti gli effetti nel grande delta del Parnaíba, il secondo fiume del Brasile, di cui il solo delta misura un decimo dell’Italia. Iniziamo la navigazione al tramonto su di una chalana (barca coperta solo per persone, lenta, molto lenta), colori affascinanti con sullo sfondo lontano la foresta, il fiume in alcuni punti pare un mare, per giungere dopo oltre un’ora di navigazione all’Ihla Canaria presso la pousada prenotata, sbarcando nel buio totale dopo aver dovuto affrontare la bocca del fiume nei pressi dell’oceano ad andatura ridottissima. Siamo entrati nel Maranhão, il terzo stato brasiliano toccato, quello dove faremo tappa più a lungo. Sistemati nel bel posto formato da varie unità abitative nel grande cortile della pousada, come prima operazione va ordinata la cena che ci sarà servita una volta rientrati dall’escursione serale. Qui a parte questa pousada non c’è nulla, o meglio, un numero non identificato di fauna locale, altro non pervenuto. Ci aspetta la navigazione tra i canali alla ricerca dei caimani che abitano le acque, un lento muoversi nel delta, la prima parte a motore, la seconda a remi per non disturbare gli animali. All’inizio nel buio totale pare una gita fantozziana, i barcaioli però hanno i loro luoghi di riferimento, e pian piano iniziamo a scorgere gli animali, soprattutto gli occhi che ci spiano e che spuntano di fuoco nel mezzo delle mangrovie illuminati dalle potenti torce dei barcaioli. Sono alligatori, non bisogna aspettarsi gli enormi coccodrilli australiani, il più grande avvistato sarà un metro/metro e mezzo, molti i piccoli che i barcaioli prendono in braccio ed accomodano a bordo imbarcazione. Alla fine fanno molto più impressione i grandi capibara che all’improvviso si alzano dal fondo dei canali poco profondi e se ne tornano sulla terraferma. L’escursione dura indicativamente 2 ore, al rientro proviamo a ricordarci l’ordinazione precedente, e qui inizia un’abitudine del posto, quella di servire quasi unicamente piatti doppi, quindi occorre sempre trovare qualcuno con cui dividere il proprio cibo. In alcuni casi la richiesta di una porzione singola è accettata (quando si è soli o in numero dispari), se in tanti optano per scelte diverse allora non diviene possibile, ma incontrerò anche ristoranti che non derogano. Cena veloce, già praticamente tutto pronto, il sistema dei piatti doppi porta ad assaggiare più specialità, diciamo che è ideale per entrare in sintonia col luogo, meno col portafoglio, ma la spesa non è mai esorbitante. Le scelte, come immaginabile, sono svariate tra quanto offre il mare, molto meno per quanto giunge dalla terra, carne solitamente dura come suole da scarpe, del resto come sempre presi in giro dagli argentini, i brasiliani mangiano carne di zebù, per intenderci carne dura. Ovvio che per un argentino trovare carne migliore di quella che offre la pampa è impresa titanica ma qui hanno perfettamente ragione. È già notte fonda quando si va a dormire, qui non c’è proprio nulla da fare o dove andare a parte tentare di avvistare alligatori, sperando che poi quelli non vengano ad avvistare noi di notte.
La favolosa Lagoa Azul vista dall'alto
6° giorno
Colazione di buon mattino, buona ma non eccessiva, e poi in barca verso l’Ilha dos Podros attraversando la foce del fiume verso l’oceano. È possibile di mattina per il gioco delle maree, sbarchiamo scalzi nel nulla percorrendo un terreno che pare una spiaggia frastagliata da piccole pozze di acqua incredibilmente chiara, quasi come se non ci fosse, va bene pensarla trasparente ma in alcuni casi il dubbio se ci sia acqua o no esiste. Al termine di questo lembo di terra che in alcune ore del giorno è percorribile a piedi, in altre in barca, giungiamo dove due pescatori stanno sistemando le loro reti, sembra che le mettano nel nulla, in altri momenti saranno il loro fondamentale strumento di sussistenza. Qui, lontano da tutto e tutti, probabilmente la loro idea di mondo è alquanto diversa dalla nostra, rimane il fatto che il posto è splendido ma soprattutto ci estrania e orizzontarsi è complesso, come pure seguire la costa. Fortuna che non ci sono asperità e ritrovare la barca è facile perché se ne scorge il tettuccio a distanza, altrimenti non banale uscire da questa fiaba dopo poco più di 3 ore. Per chi vuole, tempo di pranzo nella pousada, riprendiamo gli zaini e ci imbarchiamo nuovamente destinazione Tutoia, che raggiungeremo con barca veloce attraversando i rami del delta. Il primo stop è nell’incredibile gruppo di dune a ridosso del fiume, un sottilissimo lembo di terrà fa da diga naturale, proprio lì sorge la casa di alcuni pescatori, luogo battuto dal vento e dalla sabbia, saliamo sulle dune e il primo incontro vero e proprio col Maranhão sa già di magia. Le dune e le lagune nel verde, tra fiume e mare, possibile che un deserto connoti così fortemente quest’angolo di terra incastonato tra le acque? Eppure è tutto vero, incredibilmente. Richiamati a forza si risale sulle barche, lo spostamento fluviale continua. Il fiume impressiona, alcuni passaggi sono talmente larghi che ci si chiede se siamo entrati in oceano o meno, accostiamo l’isola fantasma (c’è o scompare a seconda delle maree) per giungere al posto di avvistamento dei guaros, gli ibis rossi. Al tramonto giungono a centinaia, scelgono alberi vicini gli uni agli altri dando a questi una colorazione rossa proprio strana a credersi senza vederla come avviene qui in mezzo al delta. Lo spettacolo merita una visione prolungata e silenziosa, il tempo passa e quando si riparte col cielo già scuro la temperatura e la tanta acqua imbarcata costringe alla prima comparsa del k-way, riposto appena sbarcati a Tutoia dopo circa 2:45’ di navigazione. Puntuale una camioneta ci porta a destinazione, proprio sull’oceano. La temperatura di sera sull’oceano non è elevata, una felpa non da fastidio, tolti da lì tra camera e paese il caldo si fa sentire. Alla pousada ci consigliano un ristorante specializzato in carne, ci trovano pure un camion per raggiungerlo, i succulenti spiedini e gli invitanti filetti danno però ragione agli argentini, carne commestibile solo con tanta fame, ce lo facciamo comunque andar bene. Rientro sempre in camion poi proviamo a verificare la vita locale, che nei dintorni della pousada è scarsa, c’è un unico bar dove si avventurano tutti, vedendo degli stranieri ci liberano pure un tavolo, ma la situazione rimane molto tranquilla e ben poco animata. Va bene così, i nostri orari sempre molto tirati non ci permettono di far nottata, caso mai ce ne fosse l’opportunità.
continua...
BLOGGER
Luca