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Il deserto di Wadi Rum, nel sud della Giordania e non lontanassimo da Petra, è considerato uno dei più belli del mondo anche se qui non sono le dune di sabbia a farla da padrone ma piuttosto le imponenti montagne di basalto, granito e arenaria che lo punteggiano, alte fino a 800 metri rispetto alla pianura desertica sabbiosa. Viste dall'alto sono come isole in un mare di sabbia, alcune stondate, altre più aguzze, immancabilmente scoscese: sono un luogo perfetto per chi si vuole cimentare in trekking o arrampicate. Non è consigliabile la visita in autonomia della zona, anche se non è impossibile, perché servono un mezzo adatto e una buona conoscenza del luogo: non è facile orizzontarsi nel dedalo di canyon di Wadi Rum.
L'arco naturale di Umm Fruth - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Generalmente si accede a questo parco avendo prenotato, possibilmente per tempo, un'escursione di uno o più giorni/notti con una guida locale, immancabilmente con beduini locali (per la precisione, appartenenti al clan Zalabia, proprietario del territorio dove si reca la maggior parte dei turisti, altre aree fuori dall'area protetta possono essere visitate con guide dei rispettivi clan, gli Zuwaydeh e gli Swalhiyin), ormai al 90% impiegati nel turismo. Che scegliate di visitare il deserto in uno o più giorni (preferibile la seconda anche perché, se ci andate in un periodo caldo, nelle ore centrali del giorno è meglio prendersela con calma), non fatevi mancare almeno una notte all'interno del parco.
I cosiddetti Sette Pilastri della Saggezza - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Benché sia sufficiente vagare più o meno a casaccio per godere della bellezza del posto, vi sono alcuni siti che meritano di essere visti:
- Il ponte naturale di Umm Fruth, alto 15 metri e scalabile in pochi minuti;
- Il ponte naturale di Burdah, per raggiungere il quale è necessaria 1 ora e mezza e ce ne vuole un'altra per scendere;
- Il breve e ombroso Khazali Canyon, con iscrizioni nabatee;
- I Sette Pilastri della Saggezza, visibili dal Visitor Center;
- Le dune grandi (scalabili solo a piedi) e le dune piccole (in cima alle quali giunge anche la jeep);
- Il monolite roccioso detto la Mucca;
- Una sorgente che nasce nel fianco di una montagna;
- Il Jebel Umm Adaami, la montagna più alta della Giordania, dalla cima della quale si vede l'Arabia Saudita.
La Sorgente di Lawrence, la cosiddetta "Casa di Lawrence" e altri siti minori non sono particolarmente interessanti, se siete stretti coi tempi, potete tranquillamente tralasciarli.
La roccia solitaria detta "La Mucca" - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
I Beduini sono famosi per la loro ospitalità, tipica della gente che abita il deserto e ha una naturale tendenza ad aiutare il viandante, ma incontrarli è piuttosto difficile. I pochi che ormai conducono lo stile di vita tradizionale non parlano inglese e sono molto gelosi della loro privacy. Grazie alla nostra guida, a cui avevo specificamente chiesto se ci fosse la possibilità di incontrare una famiglia beduina dopo che altre ci avevano detto che non ci pensavano nemmeno a farci conoscere la propria, abbiamo avuto l'occasione di conoscerne una in un contesto autentico. Per poterla incontrare abbiamo dovuto uscire dall'area del parco, verso est, zona dove normalmente i turisti non vanno. Ci siamo accomodati nella parte della tenda adibita agli ospiti - dalla quale è proibito allontanarsi per curiosare in giro perché sono le donne di casa a scegliere se unirsi agli ospiti, uscendo dalle zone a loro riservate - dove ci hanno portato il pranzo. Si è presentata la madre, di circa 65 anni, coi tradizionali tatuaggi facciali che le giovani non si fanno più fare e coi capelli ormai rossicci dal reiterato uso dell'henné. Vietatissimo fotografarla però. Vi era anche una nipote che però non si è palesata. Meno timida una simpatica capretta nera, che un paio di volte è sbucata da sotto una tenda divisoria e ha vagato tra di noi in cerca di qualcosa da brucare tra i nostri piatti.
Rocce e sabbia viste dalla mongolfiera - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Il costoso volo di quasi un'ora in mongolfiera non è stato particolarmente esaltante, sia perché il pallone rimane ai bordi del deserto e non vi si addentra (per evitarne un difficoltoso recupero e per essere sicuri di atterrare nelle pianeggianti zone circostanti) e sia perché il continuo azionamento delle fiamme per bruciare il propano consiglia di mettersi un cappellino in testa (gentilmente fornito). Ciò nonostante la prospettiva dall'alto è sempre inusuale e si presta a fotografie interessanti. La cosa più divertente, ma non per tutti, è stato l'atterraggio, con la cesta che si è capovolta di 90° gradi, che ci ha costretto ad uscire dalla cesta a gattoni.
ESPERTO: Viaggi etnografici e alternativi
Roberto