menu:
cerca sul sito:
seguici su:
menu:
cerca sul sito:
seguici su:
...segue
8° giorno - Nella terra dei Miao
Oggi visitiamo Chejiang che però, essendo vicino ad una strada trafficata, a differenza dell'isolato villaggio di Xiao Huang, ha un po' meno sapore, per quanto sia ugualmente località ben poco frequentata dai tour. C'è una gigantesca Torre del Tamburo, forse la più alta fra quelle viste anche se sembra più moderna di altre, circondata da un vasto prato che è luogo dei momenti comuni della comunità locale e vagando per il villaggio, le cui case hanno una soglia più alta di quelle viste in altri villaggi Dong, si vedono le solite scene di vita quotidiana: nonne che danno la pappa a bimbi recalcitranti; donne che si mettono sotto la finestra per godere della luce del giorno mentre rammendano; una donna che in mezzo al fiume decapita un'anatra, mentre altre sguazzano lì vicino, incuranti; dentro ad un capanno una nidiata di porcellini si sono addormentati gli uni sopra gli altri.
Nella piazza principale c'è un negozio che vende i colorati abiti tradizionali, alcuni talmente dozzinali che mi chiedo se il target siano i turisti cinesi in cerca di costumi di carnevale o i locali che hanno pochi soldi da spendere. Però guardando meglio vedo che qualche bel gioiello antico ce l'hanno. Però non voglio aggiungere peso allo zaino e a malincuore rinuncio, riservando gli ultimi acquisti alla tappa finale presso la Festa del Pasto delle Sorelle. Di nuovo on the road per andare all'animata stazione dei bus della vicina Rongjiang per prendere il bus che ci farà uscire dal territorio Dong per entrare nella terra dei Miao, le vere superstar tra le minoranze etniche cinesi. Appena entriamo in territorio Miao, come per magia, la qualità delle strade migliora sensibilmente, ora sono più larghe e asfaltate da poco, lisce come biliardi. Sul bus ci sono delle ragazze che di tradizionale hanno ben poco: jeans, felpe e sneakers, sempre al cellulare o all'ipod e a guardarsi in specchietti portatili per sistemare i capelli o il trucco. Secondo Keith potrebbero essere anche prostitute che vanno in città a Xijiang dove ci sono molti turisti e i cinesi, si sa, son goderecci.
Xijiang avvolta in una fiabesca nebbia mattutina - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
Xijiang è la capitale del turismo dei Miao. È il villaggio più grande con oltre 1200 case tradizionali in legno che si inerpicano sul terreno collinoso e danno tetto a quasi 5000 anime. Troviamo posto in un alberghetto sul lato del fiume meno frequentato ma dal quale si gode un bel panorama sul villaggio e sul fiume che lo attraversa. Il lungofiume è letteralmente preso d'assalto da orde di ragazze/donne cinesi che noleggiano i costumi tradizionali Miao nell'interminabile sequela di bancarelle apposite e poi si fanno fotografare dal fidanzato/marito sulla riva. I cinesi vanno pazzi per queste cose. Il centro della città è una larga piazza, attorno alla quale sono piazzate decine di panche sotto ad una tettoia, all'interno della quale si tiene lo spettacolo di canti e danze tradizionali Miao, comunque belli, in 4 repliche quotidiane. Ogni rappresentazione termina con una specie di trenino collettivo, con le dolci ragazze in abiti tradizionali che invitano il pubblico ad unirsi a loro nel danzare in circolo. Poi finite le danze le ragazze riescono a malapena a fuggire dall'invasione dei cinesi festanti che vogliono farsi una foto insieme a loro. A Xijiang giungono in media mille turisti al giorno, una cifra davvero importante, ma ciò nonostante di bianchi se ne vedono ancora talmente pochi che una ragazza mi chiede una fotografia. Va bene, se solo potessi parlare le chiederei dove vuole che la fotografi. Ma invece è lei che vuole fotografare me e mi cinge mentre la sua amica scatta. Tra l'altro non mi sono ancora fatto la barba da quando sono in Cina e il mio aspetto dev'essere ancora più esotico ai loro occhi, oppure è più semplicemente il mio irresistibile fascino latino... :D Come se fosse stipendiato dall'Assessorato al Turismo di Xijiang, è pure venuto fuori un sole magnifico e i costumi di cantanti e ballerine paiono ancora più colorati. L'abito tradizionale di tutti i giorni delle donne è invece meno vistoso, una giacca nera con apertura sul fianco e quindi lo sfogo decorativo avviene sui capelli, raccolti in un grande chignon sul quale viene infilato ogni tipo di ammeniccolo: spille d'argento, voluminosi pettini dello stesso metallo, colorati fiori finti e altro.
Andiamo a fare un giro nei dintorni del villaggio, costellato di splendide risaie. E della pazza folla di turisti cinesi che ne è? Niente paura, sono tutti andati al ristorante e ne uscirano solo per il prossimo spettacolo, prima di ritornare a fare foto sul lungofiume e poi di nuovo a riempire la pancia. Difatti, in giro nel villaggio e nelle colline circostanti non ne vedrò uno nemmeno per sbaglio. Meglio così. Come detto basta uscire dal ristretto circuito piazza-lungofiume per respirare di nuovo l'aria del tranquillo villaggio contadino. Ci arrampichiamo lungo una delle colline sulle quali sorge il villaggio e vediamo delle vecchiette intente a ricamare, un'attività nelle quali le Miao sono ritenute delle autentiche maestre, e mentre il sole tramontando inonda le case della sua calda luce, anche le risaie paiono più belle, forse anche perché, a forza di piovere, ora sono finalmente colme d'acqua, cosa che le rende indubbiamente più fotogeniche.
Danze per turisti - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
9° giorno - La campagna ignorata
Oggi lo dedichiamo alla visita di Xijiang e dei solitamente ignorati dintorni ma, visto che pernotteremo qui, ne approfitto per far lavare qualche panno, biancheria compresa, presso una famiglia che si dice disponibile. C'è un museo che illustra i costumi e le tradizioni dei Miao e la guida scopriamo essere la stessa ragazza che poco prima aveva pranzato al nostro stesso tavolo e col quale avevamo scambiato quattro chiacchiere. Il museo è interessante ma è anche uno dei pochi posti che i cinesi visitano e dopo un po' mi viene voglia di cambiare aria, non prima di aver posato un'altra volta assieme a delle ragazze cinesi che vogliono mostrare alle amiche un "prestigioso trofeo". Ma come si esce dalle zone affollate tutto torna a misura di villaggio: i vecchietti portano i propri uccellini nei giardini pubblici per farli cantare assieme a quelli di altri e poi, immancabilmente, si vantano della loro bravura; degli uomini procedono a sostituire i coppi sul tetto; un vecchietto ci invita a visitare la sua casa e, come in tutte le abitazioni, vediamo che le cose più esibite sono le foto dei propri familiari; passiamo vicino alle bancarelle che producono il tofu, che fanno un puzzo a dir poco pestilenziale.
Scendiamo in tempo per assistere allo spettacolo di mezzogiorno, praticamente lo stesso del giorno prima che si ripete uguale, al termine del quale un gruppone viene accolto in una stanza che dà sulla piazza per un buffet: ogni ospite viene fatto oggetto della tradizionale cerimonia di benvenuto dei Miao, che offrono da bene corni pieni di riso di vino che vengono portati alla bocca dalle ragazze più carine del villaggio. Nel pomeriggio ci addentriamo nelle colline dei dintorni e ogni tanto ci fermiamo a scambiare qualche chiacchiera, sempre preceduta dalla gradita offerta di una sigaretta, con dei contadini. Uno sta preparando il terreno fino a quando non giunge suo suocero, un arzillo 75enne, che si mette a smuovere il terreno della risaia aiutato da un toro a dir poco possente che ha condotto fino a quassù. Il paesaggio dall'alto è stupendo, sembra un plastico, e benché il sole del giorno prima non si sia fatto vivo, è ugualmente uno spettacolo per gli occhi quello che ci fermiamo ad ammirare e a commentare, assieme ad un contadino che approfitta della nostra presenza per farsi una pausa fumandosi la pipa. Qua turisti non ne vengono proprio mai e una famigliola, composta da madre, figlia e figlioletto, intenta a raccogliere foglie di tè da una piccolissima piantagione appena sufficiente per il consumo personale, si stupisce nel vederci.
Rientrati in previsione della cena, vado a cercare di riavere i miei panni, sperando che, visto la mancanza di sole, si siano asciugati. Riesco ad individuare la casa e, privo di Keith, cerco di far capire che sono venuto a riprendere i miei vestiti. La ragazza me li porta, li controllo e ne manca la metà: in pratica mi hanno dato maglie e pantaloni ma manca tutta la biancheria. Cerco di spiegare la cosa ma è un dialogo impossibile e la tipa, dopo un po', mette a monte e se ne va. Che fare? Mica posso farne a meno, ho i ricambi contati che vanno lavati ogni 4 giorni, siamo a metà del viaggio e mi serve riavere tutto. Gironzolo un po' nei dintorni col naso per aria, cercando di capire dov'è che stendono i panni ad asciugare. Noto della panni stesi all'interno del capannone lì a fianco, fatto di assi di legno fissate piuttosto larghe al punto che ci si può vedere dentro. Mi pare proprio che ci sia anche la mia roba. Torno indietro, mi infilo in uno stretto passaggio e mi trovo davanti alla porta del capannone che, per fortuna, non è chiusa a chiave. Entro e, nel timore di essere scambiato per un improbabile ladro di vestiti, faccio in fretta, raccolgo la mia roba ed esco. Nessuno grida, l'ho fatta franca.
Scene di vita quotidiana a Xijiang - Archivio Fotografico Pianeta Gaia
10° giorno - Hotel per cinesi in viaggio d'affari
Giornata di trasferimento, si prende dapprima il bus fino a Kaili e da lì il treno fino a Guiyang e poi fino a Luzhi, per un totale di circa 400 kilometri. In pratica tutto il giorno trascorso sui mezzi pubblici, buona parte sul treno dal quale, stante anche il clima grigio, non c'era neanche gran soddisfazione a guardare fuori dal finestrino. Allora mi sono concentrato sui locali, più interessanti. Più che in stazione sembra di essere in aeroporto. C'è una grande sala d'aspetto, e fin qui tutto ok, ma poi per accedere ai binari si deve presentare il biglietto all'addetto, solo dopo che il treno è stato chiamato dallo speaker, che fa passare. Una volta sui binari gli sportelli non sono automatici, ma aperti dagli addetti, i quali controllano se si sta salendo sulla carrozza giusta. Entri, ti sistemi nel posto prenotato e ogni 10 minuti passa un addetto. Uno si potrebbe chiedere "a fare cosa?" poiché di controllori non ce n'è bisogno visto che per salire si è già stati controllati almeno due volte. Per pulire. Eh sì, perché i cinesi non ce la possono proprio fare, in viaggio devono smangiucchiare. Quindi questi addetti passano in pratica quasi ogni ora a svuotare i grandi vassoi di alluminio che vengono posizionati su ogni tavolino (era un treno moderno, di quelli con 4 posti attorno ad un tavolino centrale) dei quali la maggior parte dei viaggiatori se ne sbatte tranquillamente, continuando imperterrita a gettare a terra la buccia delle brustoline o qualsiasi altra cosa che, mangiando, scartano. Poi ogni tanto passa la donna delle pulizie, che con fare piuttosto scontroso - probabilmente inviperita dall'assoluta noncuranza dei viaggiatori verso il suo lavoro - raccoglie il grosso del pattume in un grande sacco nero e spazza sotto i sedili. Così ogni ora, con la gente che getta gli scarti dappertutto tranne che negli appositi vassoi. Spettacolare la mia vicina di posto, una donna di un'età indefinità con bimbo piccolo da accudire. L'apoteosi è stato il classico "scaraccio alla cinese", con rumorosa retrocarica e collo prolungato in avanti per lasciare scendere il viscido frutto in mezzo ai piedi: da manuale la chiusura dell'operazione, con strisciata della scarpa a spalmare il tutto. Nel tardo pomeriggio giungiamo a Luzhi, città cinese nel lato occidentale del Guizhou, anch'essa in una zona ricca delle stesse formazioni carsiche viste nei primi giorni benché in forme meno spettacolari. Siamo nel punto più occidentale e contemporaneamente più alto del viaggio, sui 1400 circa e la cucina risente del diverso clima: la città pullula di ristoranti dove viene servita la hot pot, una pentola bollente la cui temperatura viene mantenuta alta da un fornello e all'interno della quale viene messo, di volta in volta, quello che si vuol mangiare: carne, verdure, ecc.: in pratica una specie di cook it yourself. Più divertente del solito è stato la ricerca del posto da dormire. È zona molto raramente visitata dai turisti e quindi di alberghetti da backpackers non ce ne sono, si passa dall'albergo più o meno lussuoso destinato ai cinesi in viaggio d'affari a bettole improbabili e ho visto il buon Keith, che sicuramente doveva mantenere certi standard ma al contempo non superare certe cifre, un po' in difficoltà.
Il primo posto in cui abbiamo chiesto l'avevo visto subito che era un po' sospetto, visto che si pubblicizzava con manifesti con procaci signorine in costume. Appena entrati ci fanno sedere in un divano gigantesco e ci portano delle ciabatte: siamo in uno spa hotel dove è possibile farsi fare massaggi, in realtà un paravento per gli hotel con bordello annesso. Keith chiede di vedere le stanze mentre io l'aspetto di sotto. Quando torna andiamo via perché la cifra è troppo alta ma mi descrive che gli hanno mostrato una stanza dove c'era una specie di trapezio sopra al letto "al quale la ragazza può appendersi", come testualmente suggerito dal commesso che gli ha mostrato la stanza. Siamo poi andati in un più normale albergo da uomini d'affari: circa 13 euro per una singola nuova, spaziosa e pulita, un rapporto qualità-prezzo davvero stupefacente. Forse il buon Keith è ormai da troppo tempo in Cina e comincia a ragionare coi loro prezzi, a volte talmente bassi da chiedere conferma per essere sicuri di non aver capito male. Per darvi un'idea, nel prezzo che avevo pagato in anticipo era compreso tutto, alberghi e spostamenti, tranne i pasti, che invece andavano pagati di volta in volta. Dopo il primo giorno, per non dover tirare fuori gli spiccioli ad ogni volta ho dato i soldi a Keith in modo che sbrigasse lui le formalità. Morale: in due settimane di viaggio, fra colazioni, pranzi, cene e spuntini vari avrò speso circa 60 euro...
continua...
La Cina delle minoranze etniche - I
La Cina delle minoranze etniche - II
La Cina delle minoranze etniche - III
ESPERTO: Viaggi etnografici e alternativi
Roberto