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La Mia Cambogia - VII

Diario di viaggio nel piccolo ma intrigante paese indocinese

 

segue... 

 

25° giorno 

Colazione in guest house poi con scooter manuali iniziamo a muoverci per Kampot notando un grande assembramento di gente nella piazza dell’obelisco con musica tradizionale in sottofondo, è la giornata della vittoria ovvero la Liberazione dai Khmer Rossi da parte dei vietnamiti, celebrata come festività in tutto il paese, ovvio come oggi ci saranno molte più persone ovunque. La destinazione è il parco di Bokor (a differenza di quanto riportato non abbiamo trovato una biglietteria dove pagare l’accesso al parco), in vetta al quale sorgeva la stazione climatica francese. Per arrivarci passiamo il vecchio ponte francese composto da 3 blocchi distinti e costeggiamo il mare per circa 8 km, da qui a destra si dipana la nuova strada per la stazione climatica posta a 1.000 metri, a strapiombo sul mare. La giornata è coperta, ventosa e minaccia pioggia, la salita è decisamente irta, l’escursione termica in moto forte, occorrono pile e giacca antivento. Son oltre 20 km di salita, non c’è possibilità di rifornirsi di benzina, prima del bivio per la vetta sorge un enorme Buddha dove stazionano svariati turisti locali e dove si può godere una bella vista, poco oltre la strada rientra per il bivio finale, prendendo a sinistra si raggiunge la vetta, prima della quale sono in costruzioni enormi resort e casinò a deturpare la vista, fortunatamente sono sul versante interno. Appena dopo di questi, sorge la vecchia chiesa cattolica fatta costruire dai francesi, ancora in rovina in seguito alla guerra di liberazione di fine 1978-inizio 1979. La chiesa era avamposto khmer, i muri interni presentano ancora i colpi dell’epoca mentre sull’esterno il muschio si è appropriato dei mattoni. Da qui si scorge l’hotel che fungeva da stazione climatica per la classe benestante dei coloniali (durante la guerra posizione vietnamita), un meteorite sulla montagna con vista mozzafiato, è in parziale ristrutturazione, l’esterno è stato tutto intonacato e quindi il suo aspetto sinistro che incuteva timore è andato perso. La giornata nuvolosa gli rende però giustizia e la visione (splendida in b&n) è ancora spettacolare. Il vento è fortissimo, se si sale sulle rocce adiacenti in direzione del wat Sampeau Bram Roi è possibile incrociare monaci con arancioni tonache svolazzanti, con la foresta sottostante verde ed il mare in lontananza cupo, lo scintillante cromatismo della visione pare un artifizio costruito all’uopo. Visitiamo le rovine del Bokor Palace che lascia una sensazione di caldo lusso per privilegiati del tempo passato, ci godiamo la vista che spazia ben oltre l’isola di Phu Quoc e poi ben vestiti affrontiamo la lunga discesa cercando di consumare il meno possibile per evitare di finire la benzina. Passato il grande Buddha è possibile procedere in folle quasi fino alla statale, circa 20 km (traffico quasi inesistente nonostante la giornata di festa, i cambogiani ne approfittano per il classico picnic anche in condizioni climatiche avverse) senza consumare carburante, prendiamo in direzione ovest dove troviamo subito i soliti venditori di bottiglie di benzina e andiamo alla ricerca di una strada sterrata in via di costruzione verso l’isola vietnamita. Stanno realizzando questo passaggio verso l’isola che dista qualche km dalla costa, ne hanno già fortificato 2,5 km, certo che se la collegheranno un braccio di mare verrà interrotto, curioso capire in cosa costituisca il progetto, i camionisti che trasportano la terra per la realizzazione non sanno una parola di inglese/francese e quindi oltre a saluti e gesti vari non si va. Rientriamo in città per andare a visitare i villaggi di pescatori che sorgono da Kampot verso il mare, lambendo la riva sinistra del fiume Kampot. Ma inizia a piovere così ritorniamo veloci sui nostri passi facendo sosta presso il primo luogo coperto incontrato. Quando la pioggia termina, riprendiamo l’escursione alle saline dell’ovest, ma la parte più interessante di queste si trova sull’isola di fronte a Kampot, a Phnom Doung. Ci si arriva passando il vecchio ponte francese, prendendo subito a sinistra e passando un ulteriore ponte che immette nell’isola. Solo strade sterrate, forte presenza musulmana (quasi ovunque nelle periferie delle città dove si incontra la parte più povera e meno istruita della popolazione), quando anche i sentieri terminano si percorrono i divisori delle saline (ce lo hanno fatto intendere i raccoglitori di sale, ammetto che in certi casi ci siam chiesti se fosse possibile e se ne avesse un senso…) quando non si deve entrare a tutti gli effetti con le ruote dentro, ma lo spettacolo è favoloso. La gente raccoglie ancora il sale a mano nel mezzo di campi a perdita d’occhio, pian piano lo porta nei casoni che abbracciano le saline, in certi casi attrezzati alla meglio per viverci (non che molte abitazioni siano poi meglio), qui lontani dai facili guadagni del turismo son tutti gentilissimi, se mostrati in foto saranno contentissimi, foto che sono uno spettacolo unico, tra l’azione ormai dimenticata delle genti e gli splendidi riflessi che il luogo regala al tramonto nonostante le nuvole. Ci perdiamo lungo strettissimi passaggi, ci si orizzonta con riferimento il promontorio di Bokor, peccato solo che alcuni canali non siamo attraversabili e allora il problema di come ritornare all’uscita dell’isola si fa più “corposo”. Qui navigatori satellitari servono a poco, dopo più informazioni al massimo disegnate sul terreno da gente del posto ma di fatto inservibili (tutti i divisori delle saline sono identici…) trovo una ragazza su di un fiammante scooter nuovo che parla inglese, la quale riesce a farci avere qualche info aggiuntiva su come trovare il sentiero principale che taglia orizzontalmente l’isola, da lì basta seguirlo fino al termine a est, la svolta a nord è obbligata e quel sentiero porta al ponte, a parte questi 2 sentieri che immagino perennizzati, il resto varia a seconda della stagione (secca/piovosa) e della preparazione delle saline. Ma vale assolutamente la pena di “perdersi” su questa isola fantastica. Rientriamo in guest house dopo aver comprato in un'agenzia del centro il passaggio in bus per il giorno seguente, un attimo di relax tra sala internet e giardino dove impegnare il tempo in lettura (e invidio sempre maggiormente i francesi che spesero i loro inverni in questi luoghi bandendo la fretta e godendosi il tutto) per far tappa a cena in un ristorante i cui tavoli all’aperto in caso di pioggia possono essere protetti da ombrelloni. Alla rotonda dell’obelisco continuano le feste con concerti di musica attuale, giovani punk crescono! Percorsi indicativamente 130 km.

 

La raccolta del sale a Phnom Doung

 

26° giorno

Gli addetti della KKT travel ci vengono a recuperare per portarci all’agenzia dove partiamo per Krong Koh Kong in minivan anche se il giorno precedente ci era stato assicurato il passaggio in bus, più comodo, preciso e affidabile. Dopo aver girato per Kampot a recuperare altri passeggeri, tutti locali, partiamo e tra le infinite soste c’è anche quella al posto di controllo di polizia dove una mazzetta di soldi passa da un addetto del minivan ad un poliziotto, mossa nemmeno nascosta, quasi esibita per conferma da parte dei passeggeri a bordo che il dovuto ha cambiato di mano. Poco dopo, a una ennesima sosta, ci sono da caricare 3 enormi reti da pescatore, occorre togliere tutto il carico posteriore (che sporge di oltre 2 metri dal minivan, più lungo di alcuni scooter caricati, per intenderci) e riposizionarlo, operazione da oltre 30 minuti . La strada, esistente da non tanti anni, taglia il Koh Kong Conservation Corridor, la foresta di mangrovie più ampia del sudest asiatico, ancora in parte inesplorata e minata, come i Monti Cardamomi appena a nord. Arriviamo con due ore di ritardo sul previsto, complice anche la pioggia che ha rallentato la corsa del minivan, e al terminal è un assalto di conducenti per andare al confine thailandese, l’apertura della strada nel corridoio ha ridestato la cittadina che tutti chiamano solo Koh Kong, finendo per fare grande confusione visto che questo è anche il nome dell’isola nelle vicinanze e della provincia. Caricati su di uno scooter andiamo alla ricerca di una guet house. Optiamo per una zona interna dove se ne trovano varie, quella che dalla rotonda principale va verso nordovest, finendo in un'enorme struttura gestita da una famiglia di origine cinese, dopo che le consigliate erano tutte esaurite. Si trovano anche hotel sul lungofiume di ottimi standard a prezzi irrisori, più centrali per le varie attività di qui. Iniziamo a girare la città (nulla da vedere, pochi servizi, ancora un posto di frontiera, si vede che il collegamento al resto della Cambogia è avvenuto da poco e tutto è in divenire) per organizzare le escursioni dei giorni seguenti. Si fa quasi tutto sul lungofiume nella zona del Mr. 42 e della Koh Kong Eco-Tours, ma alle 15:30 inizia a piovere, un temporale che non vuole cessare, così intenso - anche se fuori stagione - da trasformare le vie in fiumi. Ci ripariamo a lungo sotto le tettoie del mercato sul fiume (vi è anche quello tradizione nel centro, che chiude prima delle 17, ma poco interessante), con viste apprezzabili nel mezzo della tormenta, visto che la pioggia è talmente intensa e le nuvole basse da far apparire e scomparire il lungo ponte che porta al confine, poi ad un certo punto non potendo attendere all’infinito prendiamo mestamente la via della guest house arrivando belli lavati, alle 21 piove ancora così cerchiamo il ristorante più prossimo ma non si trova nulla, i servizi in città sono ancora minimi, ritorniamo alla rotonda sulla via principale e lì di fronte a un market si trova un ristorantino (senza insegna) di proprietà di un francese ma di fatto gestito in tutto e per tutto dalla moglie e dalla famiglia di lei, lui beve birra, gioca a carte con amici stranieri di passaggio e fa poco altro, pare rimasto ai tempi coloniali. La qualità non è male, le alternative poche, i viaggiatori che vi fanno tappa tanti, da tener presente per i giorni a venire, abbondante cena con un buon caffè finale.

 

Villaggi galleggianti nella foresta di mangrovie del Peam Krasaop

 

27° giorno

Per colazione, viste le poche alternative nella nostra zona, optiamo per un caffè in un piccolo locale lungo la via prima del bivio (sulla strada che porta alla rotonda), solo caffè ma delizioso, servito alla vietnamita dentro ad una tazza con acqua calda per mantenere la giusta temperatura, come cibo aggiungo i cookies comprati al market, confezione abbondante per 3 colazioni. Con Koh Kong Eco-Travel avevamo trattato il giorno precedente 2 giorni di escursione, ci vengono a prendere alla guest house poi sul lungofiume saliamo a bordo di una longtail boat per dirigerci verso l’isola di Koh Kong. Il tempo è ancora pessimo, siamo avvolti dalle nuvole, mare e cielo entrambi grigi si confondono dando l’idea che le navi a fianco fluttuino nello spazio. L’isola è la più grande della Cambogia, ma non è abitata a parte un piccolo insediamento di pescatori sul lato a sud verso la terraferma, possibilità di passare la nottata solo su amache da portarsi, ma obbligatoria la presenza di guide, e qui pare che nessuna sia intenzionata a una permanenza alla Robinson Crusoe. Ci vogliono quasi 3 ore per arrivare a una delle ultime insenature, intanto il cielo inizia a sgombrarsi e pian piano la vista tende al paradisiaco. Effettivamente il panorama dell’isola è quello di una fittissima foresta impenetrabile, noi facciamo tappa con questo intenso mondo verde alle spalle su di una fettuccia sabbiosa e un mare perfetto di fronte, niente onde, oltre 100 metri da percorrere in un’acqua azzurrissima per arrivare a una altezza tale da poter nuotare, consigliatissimo scendere in acqua indossando una magliettina, il sole nonostante le creme protettive potrebbe giocare brutti scherzi. Rimaniamo qui per circa 3 ore, durante le quali i 2 barcaioli al seguito del gruppo preparano un delizioso pranzo a base di barracuda, gamberi, insalate varie e per finire ogni tipo immaginabile di frutta, il tutto condito da bibite, acqua o birra. Difficile staccarsi da questo angolo di paradiso, come difficile immaginare come questa isola vergine possa rimanere in tale stato di grazia ancora a lungo, ma dobbiamo circumnavigarla per entrare al Peam Krasaop, la foresta di mangrovie più grande del sudest asiatico. Con le lunghe ma strette longtail boat è possibile fare un’escursione nei dintorni prima di effettuare quella a piedi, viste splendide tra le numerose e spesso micro isole, condite da genti locali che si muovono su canoe minimissime, la loro confidenza coi luoghi è però di tutto altro livello. Dal villaggio di attracco di Koh Kapi parte una passerella nel mezzo della foresta, senza protezioni laterali, nessun rischio ma lo segnalo per chi avesse qualche timore, che si sviluppa all’interno di questo mondo a parte, incredibile osservare le molteplici radici di ogni singolo albero, radici che hanno una funzionalità decisiva nel caso di inondazioni o tsunami. Qui in mezzo il sole non si vede mai, il cielo è coperto dalla vegetazione, si convive con percezioni di movimenti dati dalle tante specie animali che fondano la loro esistenza in questo microcosmo, al termine della passerella si arriva a un punto commerciale con bar, ristorante e negozi di souvenir, da qui si prende a sinistra per andare a un ponte sospeso sul ramo del fiume più largo della foresta per poi salire su di una torre di osservazione con vista che spazia sull’intera foresta, al tramonto lo spettacolo è emozionante. Scesi controvoglia da questa torre di vedetta riprendiamo l’imbarcazione per rientrare in città passando per i canali interni prima di prendere l’imbocco del fiume che conduce a Krong Koh Kong, il tramonto anche qui è incredibile, par finto. A volte vengono avvistati i rari delfini del Irrawaddy, a noi questa fortuna non capita, per quella visione in Cambogia meglio dirigersi nella zona di Kratie sul Mekong, ma meglio sarebbe ancora al largo di Si Phan Don , le 4.000 isole sul Mekong nel sud del Laos, per prezzi e tranquillità posto imbattibile per la ricerca di questi delfini di acqua dolce, posto sperimentato lo scorso anno in un viaggio in Laos. Sbarcati di fronte all’agenzia di viaggi che ha organizzato questa escursione (devo dire in modo impeccabile, poco invasivo e con tutto che combacia alla perfezione) ci godiamo anche da terra il tramonto, mentre il proprietario ci illustra il modo migliore e più economico per raggiungere in futuro Bangkok. Dopo un attimo di relax in guest house giusto per toglierci il sale del mare dalla pelle, ritorniamo sul lungofiume dove ceniamo nel punto di ritrovo della limitatissima movida locale e snodo di molteplici viaggiatori, anche se la qualità del cibo non è nulla di eccezionale come invece promesso dal titolare, smanioso di accaparrarsi viaggiatori grazie alle sue molteplici attività.

 

 Bokor Hill Station, hotel dell'era coloniale francese

 

28° giorno

Colazione alla maniera del giorno precedente, poi sempre come il giorno precedente veniamo prelevati da un conducente di motoremorque che lavora per il titolare della Koh Kong Eco-Tours per andare all’imbarco a ovest della città, lungo un piccolo canale da dove risalire il Koh Por River che scorre placido in mezzo alla foresta verso il confine con la Thailandia. La prima parte scorre via veloce, il fiume è largo e placido, poi stringendosi sempre più pare di avventurarsi alla ricerca del colonnello Kurtz, una missione segreta tra le mangrovie. All’ennesima diramazione dopo circa 90’ di viaggio arriviamo a un piccolo approdo (notato dai barcaioli per loro abitudine, non certo da chi vien trasportato sulla barca) dove iniziamo a risalire la vallata a piedi. Dopo 15’ si giunge a uno splendido belvedere immerso nel verde, il fiume scorre sotto di noi e par affettare la foresta, il mare si vede ma è lontano. Continuiamo nella foresta per altri 50’ per giungere alla cascata di Koh Por dove facciamo tappa. La cascata si trova nel mezzo della fitta foresta, la caduta non è alta (saranno 5 metri) ci si può gettare con tranquillità sotto per godersi un idromassaggio naturale e terminare l’opera con un bagno nella piscina naturale che sorge al di sotto. Qualche corda e scaletta aiuta nei passaggi, ma la profondità è elevata, chi non ha particolare sintonia con l’acqua profonda può avere problemi. Da qui si può risalire sul versante opposto la valle fino a un altro salto del fiume, rientrati mangiamo il pasto che le guide han portato per noi (riso con maiale e frutta, non certo al livello del pesce nella giornata precedente) e scendiamo la valle dalla parte opposta del giro mattutino. Si fanno incontri con ragni giganti che tessono ragnatele di svariati metri, uova di serpenti e così via, ma le guide son serene e così tutto passa con tranquillità, arriviamo a una altra cascata dove poter di nuovo fare il bagno oppure starsene comodamente sdraiati al sole sulle rocce, cosa che nella cascata principale è difficile visto che si trova nel mezzo della foresta. L’odore di cardamomo degli omonimi monti che costituiscono questo esteso parco non ancora tutto esplorato è intensissimo, basta recuperare un pezzo di corteccia per comprenderne a pieno il motivo, anche dopo alcuni giorni l’odore di cardamomo del legno rimane intenso. Da qui scendere all’imbarcazione è cosa veloce, riprendiamo la barca ma il rientro è più complesso, causa bassa marea. La sottile e leggera longtail boat non riesce a percorrere i canali con poca acqua, dopo innumerevoli tentativi dei barcaioli occorre scendere e muoversi a piedi nel fango tra le mangrovie, fortuna che ci saranno da percorrere meno di 300 metri prima di arrivare a un sentiero sull’erba, ma la divagazione ha rafforzato l’aspetto selvaggio dell’escursione, per chi avesse tempo qui si potrebbero fare trekking da uno a sette giorni, tutti in questa parte dei Monti Cardamomi con amache messe a disposizione dall’organizzazione per le notti. Una volta rientrati in città, tentiamo di procurarci scooter per il giorno seguente in modo da esplorare una parte dei Monti Cardamomi in autonomia, impresa non semplice, i servizi turistici in città sono ancora ai minimi termini, l’unico che ce li garantisce per l’indomani è al solito il proprietario di Mr. 42, così più per forza che per piacere finiamo a cenare ancora qui, non che il cibo sia cattivo, ma anonimo e certamente più costoso che altrove.

 

continua...

 

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Luca

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