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Messico del Nord e Bassa California - V

Il dettagliato diario di viaggio del nostro Luca

 

...segue 

 

17° giorno 

Un cielo splendente ci accoglie di prima mattina, facciamo colazione da Cabaña e vedendo com’è la situazione facciamo saltare tutti i programmi e decidiamo di visitare i canyon andando a El Divisadero. Sempre grazie a Mario, che ci organizza la spedizione con alla guida suo cugino, molto più pratico della zona e conoscitore di chiunque si aggiri da queste parti (non certo come lo zio del giorno precedente, mezzo sordo e ben poco pratico) facciamo la prima tappa al cañon su Rio Otorro (1.600 m di dislivello) e iniziamo a prender gusto alle celebri vedute della zona, fino a prima nascoste dalle nuvole. Arrivati a El Divisadero ci addentriamo al recentissimo Parque Adventuras da dove poter scegliere tra varie alternative. Arriviamo fino alla Piedra Volada da dove parte un teleferico che porta nel bel mezzo della Barranca de Urique (la più profonda di tutte, 1.895 m di dislivello) dopo una tratta nel vuoto di 3.500 m sopra le teste dei tarahumara che vivono nella zona e che si muovono sui loro percorsi a strapiombo (per loro il teleferico sarebbe gratis, ma lo prendono di rado e solo per portare il loro artigianato alla vendita nel luogo di arrivo del teleferico). Da qui si possono vedere anche le altre barrancas, tra tutte quella del Cobre che da il nome alla zona (cobre significa rame, ma non ve n'è la minima presenza, il nome deriva dal fatto che le colorazioni dei licheni dette ai conquistadores spagnoli l’idea del colore del rame), lo spettacolo è veramente incredibile, ovvio che per chi soffre di vertigini il luogo non sia adatto anche perché una volta scesi e oltrepassate le terrazze dei vari miradores non ci sono più protezioni e si può andare dove si vuole, magari prendendo come indicazione uno dei tanti sentieri tarahumara. Qui al centro della Barranca de Urique arriva anche il lungo percorso di tirolesa che si può fare partendo dall’inizio della teleferica, con un giro di quasi 6k m di viaggio che tra ponti e corde ne prevede una di oltre un km con velocità raggiunte di quasi 100 km, che per chi non è pratico, attaccato ad una corda nel vuoto deve essere una forte emozione. Però per la tirolesa e per il passaggio in roccia imbragati occorre prenotare in anticipo. Ritornati alla partenza del teleferico (cabine ogni 30’) rientriamo al El Divisadero lungo il percorso che si trova al limite del cañon con possibilità di andare fino al limite ultimo delle rocce che sporgono, nessun divieto a parte l’indicazione che la responsabilità è tutta a vostro carico. Bello, decisamente una spettacolo esaltante, strapiombi che non terminano in ogni dove, tali da sentirvi un nulla di fronte a questa grandiosa natura, poi arrivati al El Divisadero si può pranzare al mercato locale, lo stesso dove ferma il treno Chepe, affollatissimo nel momento di stop del treno, molto calmo prima e dopo. Specialità del luogo le gorditas di mais azul, che appaiono verdi, si possono riempire di ogni cosa, prezzo superiore al solito ma qui è prevedibile visto l’afflusso di gente. La guida ci scarica a Creel direttamente dove partono i bus per Chihuahua, prima giusto un salto nella piazza a vedere l’orchestra di mariachi fatta di metallo riciclato, poi col bus raggiungiamo la central camionera di Chihuahua, dove vorremmo passar la notte e ripartire l’indomani per Tijuana arrivando così di prima mattina nella celebre e discussa città frontaliera. Ma ci dicono che i biglietti per la mattina seguente son tutti esauriti, non c’è altra possibilità di arrivare direttamente a Tijuana, se non partire subito per Santa Ana e da lì trovare una coincindenza che sicuramente ci sarà. Non sappiamo nemmeno dove si trovi Santa Ana, ma viste le alternative prendiamo uno dei pochi biglietti rimasti e attendiamo la partenza cenando nell’unico posto aperto del grande terminal molto fuori dalla città. Il bus è comodo e riscaldato, ma la prima parte del viaggio è tra strade di montagna tortuose quindi dormire non è facile, ma non impossibile.   

 

Una veduta della Barranca del Cobre


18° giorno

Arriviamo a Santa Ana verso le 11, al terminal verifichiamo subito l’eventuale coincidenza per Tijuana ed effettivamente ci sono varie combinazioni, la prima in partenza alle 14 prevederebbe l’arrivo in piena notte e la scartiamo, optiamo per quella delle 21, così lasciamo gli zaini al banco vendita biglietti con un foglio appuntato sopra coi nostri nomi dopo aver comprato un passaggio. Visto l’orario facciamo una colazione più simile al pranzo in uno dei tanti locali attigui alla central camionera, scegliendo un posto dove il menù non esiste, servono il completo che è una grigliata mista con contorno dei soliti fagioli e verdura, però c’è la possibilità di scegliere le tortillas tra mais e farina, cosa che diventerà di norma al nord (quelle di farina sono in pratica una piadina, sapore meno stomacante per me). Poi è tempo per visionare la cittadina che si trova all’incrocio tra direttive importanti, quella che va a nord verso il passaggio di frontiera di Nogales e quello a nord-ovest di Tijuana, mentre nella direzione opposta si va a sud verso Hermosillo oppure a sud-est verso Chihuahua, in pratica nel mezzo esatto dei luoghi più problematici della guerra agli zetas di tutto il Messico. Ma tranquilli, il posto non presenta il minimo pericolo, anzi tutto il contrario, purtroppo però ha ragione la cassiera di Chihuahua quando alla mia domanda “¿es un lugar precioso?”  si mise a ridere scuotendo la testa. Sulla via principale c’è una infinita coda di jeep stracolme in direzione USA coi migrantes che tornano al lavoro dopo le feste natalizie, dall’altra parte quella di camion che trasportano motrici di camion. Addentrandoci verso il centro (che si scorge avvistando il campanile principale, Santa Ana non compare in nessuna guida del Mexico) le cose non migliorano, non c’è proprio nulla da vedere, allora ne approffitiamo per riposarci al sole della piazza principale su panchine sgombre di gente. Giriamo a vuoto cercando un internet point che non troviamo, tutti e due chiusi nel periodo delle feste, così anticipiamo la cena per il solito completo che di sera si rivela molto robusto, una grigliata servita all’argentina, gustandoci alla tv una partita di playoff di baseball mexicano tra la lanciatissima squadra di Hermosillos e quella di Mazatlan. Nel locale c’è un gran tifo per i primi, anche noi ci appassionamo all’incontro dove fioccano fuoricampo come noccioline, fortuna che non lo sospendono per manifesta inferiorità altrimenti non sapremmo come far arrivare l’orario della partenza del bus. Alle ore 21 puntuali si parte, riscaldamento acceso, e qui lo si necessita perché la temperatura notturna si abbassa notevolmente salendo verso il confine e percorrendolo per tanto tempo.

 

La fila perenne di auto a Tijuana

 

19° giorno

Il pulman ha grossi problemi alla trasmissione, fatica parecchio a procedere ma riusciamo comunque ad arrivare a Tijuana con solo 30’ di ritardo, dopo aver cambiato nuovamente l’orario (un’altra ora indietro, così son due di differenza dal DF). La central camionera è parecchio fuori, per arrivare col bus in centro occorrono oltre 30’ , passando anche per “la linea”, che sarebbe la linea di confine, dove c’è già una coda mostruosa per entrare negli USA. Scendiamo in pieno centro e scegliamo l’hotel, camere pulite e molto ampie ma fredde e senza riscaldamento, cosa che pagheremo cara, ma qui fino a pochi anni fa l’inverno non era un problema mentre ora il cambiamento climatico si è fatto sentire anche da queste parti. E appena usciamo per far colazione un acquazzone si abbatte sulla culla del peccato mondiale, fortuna che c'è una panaderia vicina ed attendiamo che smetta. A Tijuana non c’è nulla di storico da vedere, la città è costruita a somiglianza delle anonime città statunitensi perché da loro invasa. La divisione degli infiniti negozi avviene tra quelli che vendono paccottiglia tutta identica ma che serve a giustificare un salto di confine, da quelli che vendono argento e viagra, che i bombaroli statunitensi usano per le loro notti nei locali di streap-tease, di mattina ancora chiusi. Fa un po’ impressione vedere questo posto dove i paladini della libertà vengono per godersi la libertà tanto ostentata a casa loro ma alla prova dei fatti non ottenuta, un divertimentificio artificiale falso come una banconota da 3 euro, ma come spesso si dice, vedere per credere. Così ci inoltriamo sul percorso pedonale ben indicato che porta alla linea, il confine più attraversato del mondo, indicativamente 64 milioni di passaggi registrati ogni anno. Incalcolabile le offerte di vendita che vengono proposte lungo i circa 2 km che dividono avenida Revolucion (la principale arteria della città)  dalla linea, dove la fila di auto non ha fine ma anche quella a piedi si fa dar del lei. Terminata questa visita vaghiamo per le avenidas principali (evitando accuratamente la zona nord-ovest, terra di maquilladoras e di coyotes, le prime sono le tante fabbriche di lavorazionie e assemblaggi varie, i secondi, chiamati anche pollos, coloro che portano oltre confine illegalmente tutti quanti arrivano dal sud a cercar fortuna) senza trovare nulla di interessante a parte una mostra privata di un ex poliziotto con le visite di personaggi illustri a Tijuana nel corso del secolo scorso. Tra le attrattive vengono segnalati alcuni centri commerciali, ma dopo poco noi desistiamo dal vederli, il locale centro culturale è aperto solo in piccola parte, insomma la città del peccato è una delusione e così cerchiamo un internet point per verificare alcune escursioni da programmare dei giorni seguenti. Anticipiamo la sveglia del giorno dopo facendo scorta alla panaderia di paste per l’indomani, perché avremo una partenza di prima mattina. Un vento gelido si impadronisce della città, decidiamo di affrettare la cena scegliendo Domino’s pizza, fra tutti i locali finti tanto vale scegliere quello più finto di tutti. Abbinate alla pizza servono anche patate fritte già complete di una salsa non commestibile, la pizza è mangiabile, la confezione supersize di CocaCola che viene fornita in dotazione la finiranno loro, per noi è impossibile affrontarla. Il freddo che permea la città non risparmia la nostra camera, purtroppo invece di recuperare il sacco a pelo o la coperta cerco stupidamente di rimanere fermo sotto al leggero panno con risultati non brillanti per la salute…     

 

Non è Baja California senza cactus...


20° giorno

Nel gelido dell’hotel mi mangio le paste della colazione, poi andiamo con largo anticipo alla fermata del bus dove passa quello per la central camionera. Peccato che dopo oltre 20’ ancora non sia passato, così abbiamo i minuti contati, quando poi ci carica ma prima di arrivare al terminal si ferma a far gonfiare le gomme le speranze di prendere il pulman per il sud sembrano andate. Così faccio presente la nostra urgenza all’autista che una volta espletato il gonfiaggio parte immediatamente saltando qualsiasi fermata e precedenza scaricandoci al terminal con qualche minuto di ritardo, ma di corsa riusciamo a salire sul pulman per Guerrero Negro. Costeggiamo l’oceano viaggiando a fianco di interminabili hotel e residence di una bruttezza unica, come rovinare un paesaggio splendido, poi dopo qualche ora il cemento lascia spazio a campi coltivati e viste fantastiche dell’oceano dove ogni tanto qualche spruzzo contraddistingue il passaggio di balene. A metà percorso tappa a S. Quentin dove lungo la strada principale si trovano svariati comedores, poi la strada inizia a entrare nel mezzo della Baja California e il simbolo di questa terra, il cactus, diventa imperante, regalando forme di ogni tipo, con piante enormi. Il cielo però inizia a coprirsi e quando arriviamo a Guerrero Negro (nuovo cambio d’orario si riprende un’ora) all’inizio della Baja California Sur, è già buio e non si vede una stella, oltre a trovarci con una temperatura non propriamente adatta per escursioni nell’oceano. A fianco del piccolo terminal c’è un hotel, standard troppo elevato per noi, ma ci fanno presente che i prezzi sono tutti similari per fascia di hotel in città e quindi decidiamo di rimanere. Col personale iniziamo ad informarci per le escursioni alla ricerca delle balene nella celebre laguna Ojo de Liebre, ci pensano loro a contattare un’agenzia preposta a portarci l’indomani e intanto andiamo a cenare nel vicino ristorante, veramente molto bello, con prezzi superiori alla media del viaggio ma con un servizio prima mai incontrato, visto che la zuppa del giorno ci viene offerta, rimettendo in media il prezzo totale. Il vento gelido che ci accompagna dal ristorante all’hotel non è beneaugurante per l’escursione del giorno seguente, ma non abbiamo molta scelta, poi parlando col personale dell’hotel ci dicono che qui per molti mesi le nuvole coprono il sole e quindi possiamo rassegnarci immediatamente, se andrà bene non prendermo la pioggia, le balene le vedremo ma non saranno tante perché la stagione migliore deve ancora arrivare, con le variazione climatiche arrivano sempre più tardi.

 

continua...

 

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Luca

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