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9° giorno
Colazione con la solita (per il posto) barbacoa, poi raggiunta la central camionera con un bus locale prendiamo un pulmann Sendor per Matehuala fermata intermedia per raggiungere Real de Catorce. Il pueblo magico di R14 sarà ai più famoso perché è il luogo magico del peyote, quello che si vedeva nel film Puerto Escondido di Salvatores, raggiungibile con un lungo e stretto tunnel nel mezzo della desertica sierra. Lasciata la statale si inizia a salire su di una strada acciottolata e il bus si rompe, un problema alla trasmissione lo mette fuori uso, ne attendiamo un altro più stretto che sarebbe poi quello adatto a passare il tunnel Ogarrio che immette a R14. Attendiamo circa 90’ , poi saliamo sul bus per arrivare in quota ed entrare nel tunnel di 2,5km, incredibilmente stretto, infatti il bus sbatte ripetutamente contro le rocce nel buio totale, visto che a parte le luci del mezzo di trasporto l’illuminazione è assente, ovviamente non c’è spazio per fermarsi e il senso di marcia è forzatamente alternato. Sbuchiamo a Real de Catorce nel pomeriggio inoltrato, la luce è incredibile a 2.750 m in un luogo che pare incontaminato, e appena scesi si viene subito avvicinati per passaggi a cavallo e posti per dormire. Troviamo rifugio nel caratteristico Real de Alamos (terrazza con vista splendida sul tetto, posto per pranzare all’aperto indisturbati e per stendere i panni lavati), non c’è riscaldamento ma tante coperte pesanti, mentre in bagno la doccia è caldissima, ma visto il ritardo iniziamo subito a perlustrare il pueblito e a fissare le escursioni dell’indomani, giorno di Natale. Il pueblo magico (il nome è dato dallo stato messicano a tutti i villaggi caratteristici) si gira tranquillamente a piedi, è pieno di gente che fa una scappata in giornata ma anche abitato da personaggi da film (vedi Rolando, italiano che attende la pensione e sverna qui da 17 anni facendo insaccati oppure la guida per chi va alla ricerca del peyote nel deserto) che fanno base al locale saloon (sì, quello da farwest con le porte ad ante) con prezzi contenutissimi per tutte le consumazioni. La vita qui, a parte il discorso turisti, è dura, la natura la fa da padrona e anche coltivare un po’ di terra è un’impresa ardua. Ci dicono che la maggior parte dei ristoranti è gestita da gente di fuori che preferisce far lavorare loro compaesani (vedendo all’opera i catorceños non si può dargli torto), e la miseria si fa sentire anche ai giorni nostri. Dir che il luogo sia caratteristico è poco, il vecchio Mexico che torna alla ribalta, incastonato in una valle inaccessibile, con colori splendenti e stamberghe cadenti. Dal paese è visibile il vecchio villaggio fantasma, in alto sopra al tunnel, ma ci andremo domani, ora facciamo un giro al mercato e prendiamo accordi per un giro a cavallo per il giorno dopo. Una splendida vista al tramonto la si ha dal lato opporto all’ingresso del tunnel, nei pressi di un'abitazione situata a strapiombo sul canyon, colori, abitazioni fantasma, cactus e montagne desertiche, il rifugio dei briganti! La signora dell’hotel ci consiglia di cenare da Doña Anita, troviamo la casa (perché non di ristorante si tratta) ed entriamo senza capire se si possa mangiare o meno. Ci offre un pozole di certo buono e una bevanda, ma altro non ha, così lasciamo 35 p e cerchiamo di finire la serata in un vero ristorante visto che non tocchiamo cibo dall’alba ed il freddo si fa intenso. Ci fermiamo alla Meson de la Abundancia, nome che non tradisce le aspettative, al caldo del focolare in un posto che fa parte di un hotel di pregio ma aperto a tutti. Come antipasto ci danno da gustare i frutti dei cactus, marinati nella giusta maniera sono proprio una specialità. Al calare della notte, quando la maggior parte dei turisti locali ha lasciato il pueblito, la magia di Real de Catorce emerge prorompente, si comprende a tutti gli effetti di essere in un luogo fonte di energia non solo per i cultori del peyote ma per chiunque voglia sentirsi in pace col mondo.
Come si viaggia su una Ford Willy, Real de Catorce
10° giorno
Sveglia di buon mattino, colazione durante la quale Rolando ci racconta la sua storia, mentre beve un caffè quotidianamente offerto dai proprietari del posto, poi partiamo per visitare il villaggio fantasma che si trova a circa 45’ di distanza lungo un percorso in salita. La vista che si apre dal sentiro sul pueblo e sui dintorni pieni di cactus è un incanto, ma la vista migliore si gode da uno strapiombo dentro al villaggio fantasma. In realtà di villaggi fantasma ne incontreremo più di uno girovagando nei dintorni, ma questo è il più caratteristico per via della vista che regala. Da qui si può fare un percorso circolare che porta sul crinale e rientrare al villaggio passando dalla croce che domina Real de Catorce. Dal primo villaggio fantasma si sale in direzione dei ripetitori, poi si prende un sentiero sulla sinistra che declina pian piano dove occorre tenersi sempre sul lato sinistro per ritornare verso la croce che però non si vede fino all’ultimo. Se seguite sempre il sentiero principale finite per allontanarvi, ma ad un certo punto bisogna scendere e da lì la croce sarà visibile. Quello è il punto che permette di vedere al meglio il villaggio, poi occorre scendere e le alternative son tante perché non segnate e quindi “casuali”, ma vedendo sempre la meta non è un problema. Noi tocchiamo terra nei dintorni dell’arena de toros, poi rientriamo verso il centro cercando la Palenque de Gallos, l’arena per i combattimenti dei galli, aperta ma ovviamente non più utilizzata. Saliamo nella terrazza dell’hotel giusto in tempo per gustarci l’arrivo di una grande nuvola a coprire con effetto lisergico tutto il paese, insomma non serve il peyote per volare in queste lande. Riposati al sole mentre un gruppo di asiatici se ne sta in contemplazione del medesimo, raggiungiamo Pedro, guida cavallerizza che ci porterà coi suoi ronzini a El Quemado, una montagna di 3.000 m che domina il deserto sottostante. Pedro è stata la prima guida (sono tutte identificate da una licenza che portano appesa al collo) a offrirci il giro a cavallo, fatica a farsi comprendere, ha occhi che guardano in punti divergenti, non sa leggere e scrivere e ci sorge il dubbio che nessuno mai lo ingaggi. Diciamo che ci siam fatti impietosire e gli abbiam dato fiducia, lui viene al seguito a piedi, prova a raccontarci qualche storia locale ma capirlo è un’impresa titanica, anche se alla lunga presa un po’ la mano diventa quasi comprensibile. Occorre un’ora di cavallo al passo per arrivare al luogo di accesso al El Quemado, dove si sale in 10’, luogo sacro degli Huichol, i soli che possono consumare peyote legalmente (il peyote è mezcalina, la cultura locale degli huichol si è sempre nutrita di questo frutto della terra, ed annualmente fanno un pellegrinaggio in questi luoghi in adorazione del dio sole consumando appunto peyote). Dalla vetta di El Quemado la vista spazia sull’infinito del deserto e su tutte le montagne della Sierra, i cactus presenti sono incantevoli e liberano l’immaginazione fotografica. Questo è un luogo bandito alla fretta, "descansa y disfruta" direbbe una delle più grandi guide con cui son stato in escursione nella mia vita, e questo è quanto facciamo quassù. Ma occorre rientrare prima che faccia buio, così pian piano scendiamo a riprendere i cavalli e ritorniamo a R14 dove paghiamo Pedro, però deve chiamare un amico per capire se i soldi vadano bene e ci reimmergiamo nel villaggio che col sole già calato pare avvolto in un freddo ben più pungente della sera precedende. È tempo per scaldarci, tappa in un caffé per una cioccolata in tazza, dove ci sono anche 2 netbook a disposizione per navigare in rete. Quando le tenebre si son già impadronite del luogo visitiamo la cattedrale con una sala stracolma di retablos, mentre la casa de la moneda che dovrebbe essere restaurata da poco pare un rimasuglio del tempo aureo e nulla più. Cenare è un problema, è il 25 dicembre e quasi tutto è chiuso, troviamo solo un ristorante che ha la cattivo abitudine di lasciare la porta aperta e così, nonostante il focolare, il freddo invade la sala e la grigliata si raffredda troppo velocemente. Perché il posto si chiama Real de Catorce? Perché 14 furoni gli spagnoli uccisi dalla popolazione indigena nel 1.700, gli spagnoli venivano chiamati i reali e così il nome a monito futuro, Reale dei 14. Il posto diventato importante per via dell’argento pian piano è andato dimenticato mentre il prezioso minerale si esauriva e perché il posto era troppo difficile da difendere e divenne un nascondiglio ideale per i banditi ed in seguito per i rivoluzionari di Pancho Villa. Il peyote ha ridato celebrità al posto negli anni ’80, ora la vena aurea del tubero pare in decadenza, ma se passate di qua a settembre, nel periodo di migrazione degli huichol, ci dicono che le feste siano ancora un grandissimo evento e avrete la possibilità di immergervi nella cultura di questa popolazione che vive nello stato del Jalisco.
Vista di Real de Catorce dal villaggio fantasma
11° giorno
Con grande tranquillità facciamo colazione con sabrosas gorditas, poi ci giriamo per l’ultima volta R14 iniziando a contrattare con gli autisti delle Willy un passaggio per Estacion de Catorce. Ci dicono di presentarci in piazza alle 11:30, a mezzogiorno la prima jeep piena partirà sicuramente. Così facciamo dopo aver incontrato e augurato un grande in bocca al lupo a Rolando, il passaggio costa poco e dura approssimativamente un’ora. Le Ford Willy sono vecchie jeep dei primi anni ’50, strette, lunghe e con grande luce a terra, adatte a un percorso accidentato come quelle che dovremo affrontare, con 8 posti all’interno, anche se ad un certo punto iniziamo a preoccuparci visto l’affollamento che si sta creando. Partiamo in 22 sull’esile mezzo che pare aver visto giorni più fausti, in 11 all’interno, 5 sulla ribaltina posteriore e 6 sul tetto delicatamente appoggiati sui bagagli. Il sentiero scende, o meglio precipita a strapiombo sul baratro, io dall’interno fatico a vedere lo scenario spettacolare che ci circonda, tra buche e pendenza il viaggio è particolarmente scomodo, ma è anche l’unica maniera per non ritornare a Matehuala e guadagnare tempo, oltre ad attraversare il deserto circostante. In qualche modo arriviamo sani e salvi a Estacion de Catorce, un luogo che avrebbe fatto la gioia di Sergio Leone, 2 binari che tagliano il nulla coi miraggi che avviluppano il panorama, qui apprendiamo che il primo bus in partenza è pieno mentre il seguente, previsto verso sera non ci permetterebbe di raggiungere Zacatecas in giornata. Ci viene concesso di viaggiare in piedi, così prendiamo al volo il biglietto per un bus che si presenta con oltre un’ora di ritardo. Quando arriva, assistendo alle incredibili manovre per stipare all’interno passeggeri e bagagli capiamo al volo il perché del ritardo, ma partiamo e ci scambiamo sovente il passo con un lungo treno merci (77 vagoni per l’esattezza, nel mezzo del deserto è un passatempo anche contare questi pezzi…). Trovo da sedere per terra, ho sul collo un enorme bagaglio e davanti una famiglia messicana che per tutto il viaggio mangia patatine e altri fritti misti, abbeverandosi da bottiglie di CocaCola giganti, ma non posso lamentarmi. Arriviamo a San Tiburcio dopo 90 minuti, accorgendoci che si tratta di un incrocio lungo la ruta nazional Zacatecas-Saltillo e nulla più. Alla fermata del bus per Zacatecas c’è un giovane coppia che attende e ci sentiamo confortati visto che non siamo soli quindi qualcosa dovrebbe passare, ma la lunga attesa non porta a nulla. Rari pullman passano e nessuno si ferma, così dopo due ore di attesa faccio un salto alla tavola calda di fronte dove apprendo dalla gestrice che per oggi non ci dovrebbero più esser mezzi per Zacatecas, ne passerà uno ma essendo un directo e non de paso non ci caricherà, soprattutto se farà già buio. L’alternativa, visto che dormire sotto la pensilina non è il caso causa freddo, potrebbe essere un hotelito presso un ranch nei paraggi che lei conosce, ringrazio e faccio presente che a breve potremmo rivederci. Ma incredibilmente il pulman si ferma dopo che ci siam sbracciati in mezzo alla strada e ci carica, paghiamo all’autista 150 p (che immagino cadano nelle sue tasche dato che non ci fornisce il biglietto, ma dobbiamo solo ringraziare) e dopo 2:30’ arriviamo alla central camionera di Zacatecas. Visto che è già tardi e che non si vedono bus, chiediamo a un taxista di portarci in centro, possibilmente presso un alloggio economico, e lui ci lascia in un hostal centrale, economico e praticamente senza quasi nessun ospite, unico problema l’acqua calda, non essendoci praticamente nessuno la persona al banco aveva già spento il boiler. Per cenare andiamo nella vicina Plazuela Garcia e testiamo un posto di gran moda, dove servono tacos ed enchiladas in ogni possibile salsa (io le provo alla svizzera), ma dove il fritto vi accompagnerà per lungo tempo intriso nei vestiti. Però il posto è molto bello e trovare posto non facile, noi riusciamo perché in 2 e ci infilano a fianco dell’entrata dove la temperatura si abbassa fortemente ai 2.450 m di Zacatecas.
Donna Huichol, Real de Catorce
12° giorno
Di prima mattina è tutto chiuso, fortunatamente non la panificadora a fianco della cattedrale, con un bus in direzione Villanueva (da Blvd Lopes Mateos) ci facciamo scaricare sulla statale all’incrocio per il sito archeologico La Quemada , che si raggiunge lungo una laterale a sinistra a piedi dopo 2 km di sierra desertica. Varie e differenti le storie legate a questo sito che si apre dalla grande sala delle colonne, per accedere poi a un lunghissimo campo della pelota che termina con una splendida piramide che ha sul lato sinistro una grande e imperiale scala con accesso alla parte superiore del luogo, ancora ben conservato. La vista spazia sul territorio fino a perdersi, il sito è quanto di più interessante si possa perlustrare nel nord del Messico, fortunatamente son pochissimi i visitatori e lo si può gustare in grande tranquillità. Se si vuole arrivare al punto terminale, saliti sul crinale si segue uno stretto sentire immerso in fitti cactus, la leggenda narra la presenza di serpenti a sonagli, fate voi, la vista dal punto terminale non è niente di eccezionale perché quella parte di sito è peggio conservata e si notano solo le fondamenta delle costruzioni ma nulla di più. La precedente vista che da sulla sala delle colonne e sulla piramide con lago sullo sfondo è invece spettacolare, magari non come Teotihuacán ma poco ci manca (molto diversa dai siti maya del sud perché manca la foresta, del resto si chiama La Quemada e quello che era presente andò bruciato). Mentre rientriamo il camion cisterna che porta acqua al luogo si ferma e ci carica, portandoci fino in zona della central camionera, deviando dal percorso stabilito, ma evidentemente per i 2 operai fare un favore a 2 viandanti a piedi lungo una strada desertica deve esser stato un atto di grande sollievo. Al terminal ci prendiamo con anticipo un biglietto per la notte successiva destinazione Los Mochis, poi con un bus rientriamo in centro città, l’ultima delle storiche città dell’argento, forse non caratteristica come Guanajuato ma a livello di monumenti più interessante. Non si trova dentro ad un canyon ma tra varie colline e si nota sempre la funicolare che ne collega 2 in fronte e nelle parti opposte della città, un'escursione che dedicheremo al giorno seguente. Iniziamo la visita del centro passando per un mercato artigiano molto interessante (e ve lo dice uno non propriamente preso dalla solita paccotiglia tutta uguale), dove trovare i più svariati oggetti lavorati sia in legno (spesso cactus) che metallo, oppure minerali lavorati a forma di machete molto caratteristici, portaceneri e pietre a celebrare la miniera più imporante della città, cuoio in ogni forma e il tutto a prezzi contenutissimi. Il mercato si snoda attorno alla via principale quindi è impossibile non trovarlo. Dopo una visita in internet, nella zona di avenida Juan de Tolosa se ne trovano più di uno fianco all’altro, e una sosta in ostello per accertarci che l’acqua calda sia a disposizione, è tempo di cena. Vorremmo provare il celeberrimo Rest. Los Dorados de Villa (da queste parti Pancho Villa è un grandissimo eroe) ma è tutto esaurito e si entra solo grazie a vecchie prenotazioni, così troviamo lungo la strada principale un coloratissimo ristorantino dove consumiamo un'ottima cena. A fianco c’è un bar dove suonano dal vivo, ma l’attenzione è limitatissima e così dopo 2 pezzi intonati alla chitarra essendo gli unici avventori salutiamo il mesto artista e ritorniamo sui nostri passi, salendo sul tetto dell’ostello dove si possono fare spettacolari foto alla città illuminata, soprattutto in direzione del Cerro de la Bufa.
continua...
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